Mons. Bertin: la comunità internazionale sia più unita per ricostruire la Somalia
Dare un nuovo slancio al processo politico in Somalia per promuovere un governo stabile
e intensificare le azioni di contrasto alla pirateria e al terrorismo in generale:
queste le due direttrici principali emerse dai lavori della Conferenza internazionale
sul Paese del Corno d’Africa che si è tenuta a Londra giovedì scorso. Se il mondo
non agirà in fretta in Somalia “pagheremo un prezzo molto alto”, era stato detto all’apertura
dei lavori. Adriana Masotti ha sentito mons. Giorgio Bertin, amministratore
apostolico di Mogadiscio e vescovo di Gibuti:
R. – Dare un
governo più stabile alla Somalia non è una cosa facile, in effetti. Bisogna ricordare
che in questi 21 anni è mancato un governo e che ci sono stati vari tentativi per
formare esecutivi di transizione. Ora, questo tentativo di Londra sembra più serio
e potrebbe produrre maggiori frutti. Per favorire questo nuovo tentativo, quello che
mi aspetto è che da parte della comunità internazionale ci sia una maggiore coesione
e che si riesca, soprattutto da parte somala, ad identificare veri rappresentanti
per governare, rappresentanti che abbiano come scopo soprattutto il servizio al proprio
popolo.
D. – Sull’altro fronte: la lotta contro la pirateria. Che passi sono
stati decisi?
R. – Secondo me, quello che hanno fatto è stato rafforzare l'impegno
della comunità internazionale per lo meno per avere dei tribunali, per potere giudicare
le persone che riescono ad arrestare. E’ stata ripresa però anche l’idea che per lottare
veramente contro la pirateria, non basta lottare sul mare, ma bisogna che sulla terra
si trovi una soluzione politica e una soluzione sociale migliore.
D. – All’inizio
della Conferenza è stato detto che, se il mondo non agirà in fretta in Somalia, pagheremo
un prezzo molto alto. Possiamo dire che almeno c’è oggi una maggiore consapevolezza
del problema Somalia?
R. – Io penso di sì, perché c’era stata una grande attenzione
– ricordo - nel ’92, con la “Restore Hope”, e poi c’è stato una specie di abbandono
della Somalia, lasciata in mano solo all’attività umanitaria. Credo che ora si siano
resi conto che è assolutamente necessario riprendere l’aspetto politico della stabilità
della Somalia, per risolvere gli altri problemi. E aggiungerei anche che la comunità
internazionale, che è sembrata quasi sempre una comunità internazionale guidata dal
mondo occidentale, credo ora abbia aperto di più al mondo arabo musulmano.
D.
– Il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, all'indomani della Conferenza di
Londra ha dichiarato: “Vogliamo partecipare all’impegno per la riconciliazione, la
pace, la ricostruzione della Somalia”. La Chiesa può contribuire a questo cammino?
R.
– Certamente la Chiesa può contribuire e ha contribuito. Le parole del Santo Padre
in diverse occasioni hanno aiutato la comunità internazionale a tenere desta l’attenzione.
La Chiesa poi, attraverso soprattutto la Caritas, ha continuato una grande opera umanitaria
e tuttora continuiamo. Ci siamo appena incontrati a Roma, con diverse Caritas, e tra
una settimana, dieci giorni di nuovo le Caritas che sono impegnate maggiormente per
la Somalia o per i rifugiati somali si incontreranno con me a Nairobi. Questi sono,
dunque, dei segni di come la Chiesa continui anche a sostenere la speranza attraverso
la propria preghiera, perché di fronte alla difficoltà del compito a volte le persone
o le istituzioni potrebbero scoraggiarsi. (ap)