Obama si scusa con Karzai per il Corano bruciato. Uccisi altri due soldati Usa
"Bisognerebbe ricordarsi spesso di tutti i nostri uomini e le nostre donne che, pur
in mezzo al silenzio dei media, garantiscono una presenza di riferimento e di ordine
in terre profondamente travagliate, che non possiamo ritenere estranee alla comunità internazionale”.
Lo ha detto il cardinale arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, nell'omelia pronunciata
a Termini Imerese durante i funerali di Francesco Paolo Messineo, uno dei tre militari
morti lunedì in un incidente in Afghanistan. A Messina, nel pomeriggio si sono svolti
anche i funerali del caporal maggiore capo Francesco Curro'.
E rimane alta
in diverse città del Paese asiatico la tensione, dopo che alcuni soldati americani
hanno bruciato copie del Corano. Le violente manifestazioni antioccidentali, oggi
al terzo giorno, hanno provocato 1 morto e alcuni feriti nella regione di Bagram,
mentre due militari statunitensi sono stati uccisi. Al presidente afghano, Hamid
Karzai, sono giunte le scuse del presidente USA, Barak Obama che in una lettera esprime
profondo rammarico per quanto avvenuto e l’impegno a punire i responsabili. Tuttavia
i talebani hanno esortato la popolazione a continuare l’offensiva. Giancarlo La
Vella ha intervistato padre Giuseppe Moretti, missionario dei Barnabiti
in Afghanistan:
R. – E’ fuori
discussione che i testi sacri, a qualunque religione appartengono, vadano rispettati.
Da quanto ho appreso, questi testi non sono stati bruciati volontariamente ma facevamo
parte di uno stock di roba da bruciare: dentro c’erano anche questi libri. Ovviamente,
forse sarebbe stato più opportuno, anzi doveroso, toglierli dall’inceneritore.
D.
– Queste manifestazioni, che durano ormai da diversi giorni, rivelano uno stato di
inquietudine all’interno della società afghana...
R. – Sì, possono essere letti
sotto un duplice aspetto. Il primo è quello di una reazione al sacrilegio commesso.
L’altro aspetto è una certa insofferenza per la presenza straniera in Afghanistan.
Anche questo va letto interpretando la storia del Paese, partendo dalle tre guerra
anglo-afghane – quando gli inglesi tentarono per tre volte di occupare l’Afghanistan
– e poi i dieci anni di resistenza – dal ’79 all’89 – quando l’Armata Rossa invase
l’Afghanistan, per arrivare ad oggi, cioè alla stessa cosa.
D. – Padre Moretti,
lei come sta vivendo questo difficile processo di stabilizzazione della società afghana?
R.
– Conoscendo la storia dell’Afghanistan in tempi di pace, con molta onestà debbo dire
che in questi dieci anni di presenza occidentale la popolazione non ha ricevuto quei
benefici che erano stati promessi e che si aspettava. Noi vorremmo che si arrivasse
alla pace vera: la pace è un diritto di tutti. L’Occidente è qui per portare la pace.
Noi, d’altra parte, cerchiamo di alleviare – nei limiti del possibile – le sofferenze
della popolazione, ma è chiaro che facciamo quello che possiamo. Sempre nella fiducia
che si possa arrivare ad una conclusione.
D. – Che riscontro, a livello popolare,
c’è della ribellione talebana?
R. – Percepisco che non ci sia alcuna nostalgia
per il ritorno dei talebani. C’è un grande desiderio di ritorno alla pace anche perché,
almeno in questi dieci anni, in diverse aree del Paese le bambine e le ragazze sono
ritornate a scuola. Ci sono ora donne che hanno delle responsabilità a livello ministeriale,
a livello di giudici, anche se è sempre una minoranza. Credo, allora, che nessuno
abbia voglia di ritornare all’epoca dei talebani, anche perché non c'era soltanto
la restrizione delle donne alla scuola, ma era la restrizione alla musica, era l'invasione
di parecchi dei diritti umani. Si vorrebbero però, allo stesso tempo, vedere da parte
della popolazione un inizio di cammino concreto verso una vera democrazia. Gli aspetti
essenziali di una vera democrazia mancano: scuole, ospedali, assistenza sociale… Il
cammino lascia ancora molto, molto a desiderare. Ma guardiamo con fiducia e non ci
perdiamo d’animo. (mg)