Iran: impedito l'accesso degli osservatori dell'Aiea al sito di Parchin
Nuove frizioni tra comunità internazionale e Iran sulla questione nucleare. Teheran
ha vietato l’ingresso degli osservatori dell’Aiea al sito di Parchin, già concesso
in passato. Secondo l’Agenzia dell’Onu per l’energia atomica, in quell’impianto potrebbero
essere in corso attività per la produzione di ordigni nucleari. L’atteggiamento iraniano,
a detta del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, è molto grave. Dalla sua, la
guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, afferma che il suo Paese non ha
intenzione di dotarsi di armamenti nucleari, ma che nessuno gli impedirà di sviluppare
i propri programmi. Sulla vicenda Giancarlo La Vella ha intervistato il giornalista
Antonello Sacchetti, esperto di questioni iraniane e appena rientrato dalla
Repubblica islamica:
R. – Questo
sito di Parchin non rientra tra i siti dichiarati nucleari. E’ uno di quegli impianti
che sarebbero visitabili dall’Aiea, qualora l’Iran aderisse al Protocollo addizionale.
E in realtà c’è stato un momento in cui l’Iran ha, de facto, aderito al Protocollo
addizionale, dal 2003 al 2006. Quando poi si è verificato lo stallo nei colloqui,
tra il gruppo 5+1 in particolare, con Francia, Gran Bretagna e Germania, l’Iran ha
sospeso quest’adesione volontaria, il Parlamento iraniano non ha ratificato questo
Protocollo ed è stata nuovamente negata la visita a questo sito, attivo dagli anni
’50, dove comunque sono stati realizzati esperimenti e test militari. Qual è la questione?
Nel famoso rapporto, rilasciato dall’Aiea nello scorso novembre, si dice che lì potrebbero
esserci stati degli esperimenti con ingenti quantità di esplosivo, che potrebbero
far pensare ad un collegamento con la questione nucleare.
D. – Il presidente
americano Obama parla di atteggiamento molto grave. A questo punto si tratta più ch
altro di uno scontro politico?
R. – Io direi proprio di sì. E’ chiaro che la
questione del nucleare sia usata da tutte e due le parti in modo strumentale. L’Iran
la sta sfruttando non perché voglia effettivamente raggiungere la dimensione di potenza
nucleare, ma perché vuole raggiungere quello status che già è stato molto utile ad
altri Paesi – penso soprattutto alla Corea del Nord – per impedire che si vada avanti
con un programma di cambio di regime. Di fatto, parliamo di un Paese che, ammesso
e non concesso che effettivamente possa dotarsi dell’arma nucleare, ancora non ha
la bomba atomica, ma è vicino ad altri Paesi, come Israele, che ha 300 testate nucleari
e inoltre non aderisce nemmeno al Trattato di non proliferazione. Quindi, è chiaro
che stiamo parlando di una questione essenzialmente politica. Negli ultimi mesi, la
questione si sta radicalizzando, anche perché l’attuale contesto internazionale non
favorisce il dialogo. In tutto questo, invece, i contatti degli ultimi giorni, danno,
secondo me, più speranze che impressioni negative.
D. – Ma esiste una strada
verso un dialogo?
R. – Il dialogo c’è sempre, l’importante, però, è che sia
un dialogo vero, in cui si è disposti ad accettare che anche l’altro possa avere ragione
su qualcosa. Io parto dalla premessa che, se l’Iran ha aderito al Trattato di non
proliferazione, abbia dei doveri, ma abbia anche dei diritti, tra i quali quello di
sviluppare il nucleare unicamente a scopi civili. Se però si parte dal presupposto
che, per cominciare il dialogo, qualcuno dice che bisogna sospendere l’arricchimento
dell’uranio, si parte dalla fine, cioè da quella che dovrebbe essere invece la conclusione
del negoziato. (ap)