Il significato della Quaresima al centro della catechesi del Papa all'udienza generale
Il Papa all’udienza generale nel Mercoledì delle Ceneri ha svolto la sua catechesi
sul tempo della Quaresima che inizia oggi. “Si tratta – ha detto - di un itinerario
di quaranta giorni che ci condurrà al Triduo pasquale, memoria della passione, morte
e risurrezione del Signore, cuore del mistero della nostra salvezza. Nei primi secoli
di vita della Chiesa questo era il tempo in cui coloro che avevano udito e accolto
l’annuncio di Cristo iniziavano, passo dopo passo, il loro cammino di fede e di conversione
per giungere a ricevere il sacramento del Battesimo. Si trattava di un avvicinamento
al Dio vivo e di una iniziazione alla fede da compiersi gradualmente, mediante un
cambiamento interiore da parte dei catecumeni, cioè di quanti desideravano diventare
cristiani ed essere incorporati a Cristo e alla Chiesa”.
Benedetto XVI ha sottolineato
che “successivamente, anche i penitenti e poi tutti i fedeli furono invitati a vivere
questo itinerario di rinnovamento spirituale, per conformare sempre più la propria
esistenza a quella di Cristo. La partecipazione dell’intera comunità ai diversi passaggi
del percorso quaresimale sottolinea una dimensione importante della spiritualità cristiana:
è la redenzione non di alcuni, ma di tutti, ad essere disponibile grazie alla morte
e risurrezione di Cristo. Pertanto, sia coloro che percorrevano un cammino di fede
come catecumeni per ricevere il Battesimo, sia coloro che si erano allontanati da
Dio e dalla comunità di fede e qui cercavano la riconciliazione, sia coloro che vivevano
la fede in piena comunione con la Chiesa, tutti insieme sapevano che il tempo che
precede la Pasqua è un tempo di metanoia, cioè del cambiamento interiore, del pentimento;
il tempo che identifica la nostra vita umana e tutta la nostra storia come un processo
di conversione che si mette in movimento ora per incontrare il Signore alla fine dei
tempi”.
“Con una espressione diventata tipica nella Liturgia – ha rilevato
- la Chiesa denomina il periodo nel quale siamo entrati oggi «Quadragesima», cioè
tempo di quaranta giorni e, con un chiaro riferimento alla Sacra Scrittura ci introduce
così in un preciso contesto spirituale. Quaranta è infatti il numero simbolico con
cui l’Antico e il Nuovo testamento rappresentano i momenti salienti dell’esperienza
della fede del Popolo di Dio. E’ una cifra che esprime il tempo dell’attesa, della
purificazione, del ritorno al Signore, della consapevolezza che Dio è fedele alle
sue promesse. Questo numero non rappresenta un tempo cronologico esatto, scandito
dalla somma dei giorni. Indica piuttosto una paziente perseveranza, una lunga prova,
un periodo sufficiente per vedere le opere di Dio, un tempo entro cui occorre decidersi
ad assumere le proprie responsabilità senza ulteriori rimandi. E’ il tempo delle decisioni
mature”.
Il Papa ha quindi osservato che “il numero quaranta appare anzitutto
nella storia di Noè. Quest’uomo giusto, a causa del diluvio trascorre quaranta giorni
e quaranta notti nell’arca, insieme alla sua famiglia e agli animali che Dio gli aveva
detto di portare con sé. E attende altri quaranta giorni, dopo il diluvio, prima di
toccare la terraferma, salvata dalla distruzione (Gen 7,4.12; 8,6)". Poi prosegue:
"Mosè rimane sul monte Sinai, alla presenza del Signore, quaranta giorni e quaranta
notti, per accogliere la Legge. In tutto questo tempo digiuna (Es 24,18). Quaranta
sono gli anni di viaggio del popolo ebraico dall’Egitto alla Terra promessa, tempo
adatto per sperimentare la fedeltà di Dio: «Ricordati di tutto il cammino che il Signore,
tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni… Il tuo mantello non ti si
è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant’anni» (Dt
8,2.4)". E prosegue: "Gli anni di pace di cui gode Israele sotto i Giudici sono quaranta
(Gdc 3,11.30), ma, trascorso questo tempo, inizia la dimenticanza dei doni di Dio
e il ritorno al peccato. Il profeta Elia impiega quaranta giorni per raggiungere l’Oreb,
il monte dove incontra Dio (1 Re 19,8). Quaranta sono i giorni durante i quali i cittadini
di Ninive fanno penitenza per ottenere il perdono di Dio (Gn 3,4). Quaranta sono anche
gli anni dei regni di Saul (At 13,21), di Davide (2 Sam 5,4-5) e di Salomone (1 Re
11,41), i primi tre re d’Israele. Anche i Salmi riflettono sul significato biblico
dei quaranta anni, come ad esempio il Salmo 95: «Se ascoltaste oggi la sua voce!
“Non indurite il cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi
tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere. Per
quarant'anni mi disgustò quella generazione e dissi: sono un popolo dal cuore traviato,
non conoscono le mie vie”» (vv. 7c-10)”.
“Nel Nuovo Testamento – ha proseguito
- Gesù, prima di iniziare la vita pubblica, si ritira nel deserto per quaranta giorni,
senza mangiare né bere (Mt 4,2): si nutre della Parola di Dio, che usa come arma per
vincere il diavolo. Le tentazioni di Gesù richiamano quelle che il popolo ebraico
affrontò nel deserto, ma che non seppe vincere. Quaranta sono i giorni durante i quali
Gesù risorto istruisce i suoi, prima di ascendere al Cielo e inviare lo Spirito Santo
(At 1,3)”.
Il Pontefice ha poi affermato che “con questo ricorrente numero
quaranta è descritto un contesto spirituale che resta attuale e valido, e la Chiesa,
proprio mediante i giorni del periodo quaresimale, intende mantenerne il perdurante
valore e renderne a noi presente l’efficacia. La liturgia cristiana della Quaresima
ha lo scopo di favorire un cammino di rinnovamento spirituale, alla luce di questa
lunga esperienza biblica e soprattutto per imparare ad imitare Gesù, che nei quaranta
giorni trascorsi nel deserto insegnò a vincere la tentazione con la Parola di Dio.
I quarant’anni della peregrinazione di Israele nel deserto presentano atteggiamenti
e situazioni ambivalenti. Da una parte essi sono la stagione del primo amore con Dio
e tra Dio e il suo popolo, quando Egli parlava al suo cuore, indicandogli continuamente
la strada da percorrere. Dio aveva preso, per così dire, dimora in mezzo a Israele,
lo precedeva dentro una nube o una colonna di fuoco, provvedeva ogni giorno al suo
nutrimento facendo scendere la manna e facendo sgorgare l’acqua dalla roccia. Pertanto,
gli anni trascorsi da Israele nel deserto si possono vedere come il tempo della speciale
elezione di Dio e della adesione a Lui da parte del popolo, tempo del primo amore.
D’altro canto, la Bibbia mostra anche un’altra immagine della peregrinazione di Israele
nel deserto: è anche il tempo delle tentazioni e dei pericoli più grandi, quando Israele
mormora contro il suo Dio e vorrebbe tornare al paganesimo e si costruisce i propri
idoli, poiché avverte l’esigenza di venerare un Dio più vicino e tangibile ... ”.
Questa
ambivalenza – ha aggiunto - "la ritroviamo in modo sorprendente nel cammino terreno
di Gesù, naturalmente senza alcun compromesso col peccato. Dopo il battesimo di penitenza
al Giordano, nel quale assume su di sé il destino del Servo di Dio che rinuncia a
se stesso e vive per gli altri e si pone tra i peccatori per prendere su di sé il
peccato del mondo, Gesù si reca nel deserto per stare 40 giorni in profonda unione
con il Padre". Quindi prosegue: "Questa dinamica è una costante nella vita terrena
di Gesù, che ricerca sempre momenti di solitudine per pregare il Padre suo e rimanere
in intima comunione e in intima solitudine con Lui, esclusiva comunione con Lui, e
poi ritornare in mezzo alla gente. Ma in questi tempi di “deserto” e di incontro speciale
col Padre, Gesù si trova esposto al pericolo ed è assalito dalla tentazione e dalla
seduzione del maligno, il quale gli propone una via messianica lontana dal progetto
di Dio, perché passa attraverso il potere, il successo, il dominio e non attraverso
il dono totale sulla Croce. Questa è l'alternativa al messianismo di potere, di successo:
un messianismo di amore, di dono di sé”.
Ha quindi sottolineato che “questa
situazione di ambivalenza descrive anche la condizione della Chiesa in cammino nel
“deserto” del mondo e della storia. In questo “deserto” noi credenti abbiamo certamente
l’opportunità di fare una profonda esperienza di Dio che rende forte lo spirito, conferma
la fede, nutre la speranza, anima la carità; un’esperienza che ci fa partecipi della
vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte mediante il Sacrificio d’amore sulla
Croce. Ma il “deserto” è anche l’aspetto negativo della realtà che ci circonda: l’aridità,
la povertà di parole di vita e di valori, il secolarismo e la cultura materialista,
che rinchiudono la persona nell’orizzonte mondano dell’esistere sottraendolo ad ogni
riferimento alla trascendenza. E’ questo anche l’ambiente in cui il cielo sopra di
noi è oscuro, perché coperto dalle nubi dell’egoismo, dell’incomprensione e dell’inganno.
Nonostante questo, anche per la Chiesa di oggi il tempo del deserto può trasformarsi
in tempo di grazia, poiché abbiamo la certezza che anche dalla roccia più dura Dio
può far scaturire l’acqua viva che disseta e ristora”.
Il Papa ha infine concluso:
“Cari fratelli e sorelle, in questi quaranta giorni che ci condurranno alla Pasqua
di Risurrezione possiamo ritrovare nuovo coraggio per accettare con pazienza e con
fede ogni situazione di difficoltà, di afflizione e di prova, nella consapevolezza
che dalle tenebre il Signore farà sorgere il giorno nuovo. E se saremo stati fedeli
a Gesù seguendolo sulla via della Croce, il chiaro mondo di Dio, il mondo della luce,
della verità e della gioia ci sarà come ridonato: sarà l’alba nuova creata da Dio
stesso. Buon cammino di Quaresima a voi tutti!”.