Yemen. Attentati e scontri alla vigilia delle elezioni presidenziali
Tensione in Yemen alla vigilia delle presidenziali. Diverse esplosioni hanno colpito
stamani alcuni seggi allestiti nella città di Aden, nel sud del Paese. Secondo fonti
locali, un agente di polizia è morto e cinque sono rimasti feriti negli scontri a
fuoco tra forze di sicurezza e milizie separatiste che chiedono di boicottare la tornata
elettorale. Dietro gli attentati ci sarebbe la mano del “Movimento meridionale”, che
però nega la paternità dei gesti criminali. Unico candidato alle presidenziali è Mansour
Hadi, successore del dimissionario presidente Saleh, allontanatosi dopo 33 anni in
seguito alle poteste di piazza. A parlare di situazione esplosiva è William Strangio,
responsabile in Yemen della ong Intersos. Massimiliano Menichetti lo ha raggiunto
telefonicamente nella città di Aden:
R. – Ad Aden,
la situazione è molto tesa: si registrano attentati negli ultimi giorni contro le
sedi del comitato elettorale e ci sono diversi partiti politici che hanno deciso di
boicottare le elezioni. Molti sono i manifesti in città.
D. - Anche voi siete
stati testimoni nella notte di un attentato?
R. – Verso l’una, c’è stata un’esplosione.
Hanno attaccato un centro del comitato elettorale, poi abbiamo sentito spari e ci
sono stati scontri tra le forze di sicurezza e persone armate.
D. – Mansur
Hadi è l’unico candidato alla presidenza e, di fatto, era il numero due dell’ex presidente
Saleh. Chi sono dunque i dissidenti?
R. – Soprattutto i giovani nelle piazze,
che hanno cominciato il movimento di protesta: non vedono un vero rinnovamento con
queste elezioni. E si sono alcuni partiti, come Al Herak, che hanno già dichiarato
di non voler partecipare a queste elezioni.
D. - Queste consultazioni si svolgono
in un momento delicato del Paese, che peraltro è piegato da una situazione economica
difficile…
R. – Sì, era già un Paese povero e con la crisi politica dell’ultimo
anno del 2011 la situazione è peggiorata. Il numero di persone che vivono sotto la
soglia di povertà è aumentato: c’è la crisi, c’è la mancanza del petrolio e l’aumento
del costo del carburante ha provocato anche l’aumento dei prezzi dei generi alimentari.
Ovviamente, questo ha colpito tutte le persone più povere.
D. – In più, centomila
persone sono sfollate proprio nei sobborghi di Aden…
R. – Questo è il risultato
del conflitto in atto nella regione di Abyan tra le forze islamiste e le forze governative.
Questo conflitto è iniziato alla fine di maggio dell’anno scorso e continua ancora.
La mancanza di sicurezza non permette a queste persone di tornare a casa. Per questi
sfollati abbiamo allestito un centro comunitario e provvediamo con un’assistenza finanziaria
economica per le persone più vulnerabili e anche con un’assistenza psicologica.
D.
– Di cosa c’è bisogno in questo momento nello Yemen?
R. – Sicuramente, in alcune
parti del Paese c’è bisgono di aiuti alimentari e soprattutto di un sostegno al governo
per poter estendere il controllo a tutto il resto dello Yemen, perché in questo momento
il governo centrale è molto debole e quindi diverse regioni sono fuori controllo.
D.
- Ma la popolazione come vede l’intervento esterno internazionale?
R. – Molto
positivamente. Capiscono che diverse agenzie stanno per aiutarli: c’è bisogno di aiuto,
tutti lo comprendono. (bf)
Il nuovo presidente resterà in carica per due anni,
ma a fronte delle tensioni che pesano sullo Yemen come si posso definire queste presidenziali?
Massimiliano Menichetti lo ha chiesto all’esperta di Medio Oriente, Farian
Sabahi, giornalista, docente universitaria e autrice del libro edito da Bruno
Mondadori “Storia dello Yemen”:
R. – Non si
tratta di vere elezioni, ma di una sorta di referendum per confermare ai vertici della
Repubblica yemenita Mansur Hadi, il vice del presidente uscente, Alì Abdallah Saleh,
che ha accettato l’accordo proposto dai Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo
e ora si trova negli Stati Uniti. Mansur Hadi è un politico di lungo corso: è al fianco
a Saleh dal 1994, non è una figura rivoluzionaria ma su di lui si è coagulato il consenso
di diverse fazioni. La priorità ora, infatti, è scongiurare la guerra civile e cercare
la stabilità. In questo senso, Mansur Hadi può essere l’uomo giusto: in parte perché
viene dal sud dello Yemen e quindi da quella zona del Paese unita al nord soltanto
dal 1990, dopo il crollo del comunismo. Il sud dello Yemen – lo ricordiamo – in questi
anni si è sentito colonizzato dal nord e minaccia la secessione. Inoltre, Mansur Hadi
è considerato un buon compromesso anche per i Paesi del Consiglio di cooperazione
del Golfo e quindi dalla vicina Arabia Saudita. Con questo voto, Mansur Hadi dovrebbe
ottenere la legittimazione formale per avviare le modifiche costituzionali necessarie
per una transizione democratica.
D. – La situazione in Yemen è complessa: ancora
in atto il conflitto nella regione di Abyan tra truppe governative e milizie islamiste,
con oltre 100 mila profughi. Quale il quadro in cui si muove il Paese, e cosa serve
allo Yemen?
R. – L’obiettivo, ora, è la stabilità dello Yemen, che è un Paese
a rischio di disgregazione. Lo Yemen ha un reddito medio pro-capite annuo di circa
mille dollari: è il più povero tra i Paesi arabi, ma è anche il Paese più popoloso
nella penisola araba ed è l’unica Repubblica della penisola. Un terzo della sua popolazione
soffre la malnutrizione, il 42 per cento vive sotto la soglia di povertà e quindi
con meno di due dollari al giorno. Ci sono poi tanti problemi legati alla sicurezza:
ci sono i ribelli Houthi al nord, i secessionisti al sud, c’è al Qaeda… In questi
anni, gli scontri hanno portato a un incremento nel numero degli sfollati, che sono
centinaia di migliaia. L’obiettivo è evitare un’altra guerra civile, anche perché
la situazione è sempre più difficile: la luce elettrica nelle case c’è soltanto due-tre
ore al giorno, il prezzo del petrolio è raddoppiato da luglio e lo stesso è accaduto
per i prezzi dei generi alimentari, con l’acqua che ormai arriva dalla capitale Sana’a
soltanto con le cisterne. Ecco: soltanto la stabilità politica può aiutare lo Yemen
in questa situazione molto difficile. (gf)