2012-02-19 14:14:54

Siria: 8 mila morti dall'inizio delle proteste. Le parole di una giovane: vogliamo libertà e democrazia


Ottomila siriani: è questo il calcolo aggiornato dei morti in un anno di ribellioni, secondo gli attivisti antiregime. Un numero attorno al quale si rafforza l’onda del sentimento avverso ad Assad che oggi, a Roma, prende forma in una manifestazione, alla quale è prevista la partecipazione di molti giovani. Francesca Sabatinelli ha parlato con una di loro, Aya Homsi, italiana di genitori siriani, con passaporto di entrambi i Paesi. Aya, ed altri italo-siriani come lei, hanno creato un gruppo su Facebook in costante contatto con i manifestanti in Siria. “Ciò che chiediamo è semplice – spiega Aya – fermare i colpi sui manifestanti, rilasciare i prigionieri politici, instaurare il dialogo nazionale, consentire il pluralismo politico ed organizzare elezioni libere e democratiche in sei mesi”:RealAudioMP3

R. – Vivo in Italia e ho il dovere di far arrivare il messaggio di quelle che sono le mie origini siriane. Questo messaggio a me arriva dai liberi cittadini siriani, che stanno manifestando nelle piazze. Arriva dai miei parenti, da tutti coloro che stanno – ahimè – rischiando la vita per chiedere la democrazia e la libertà. E mi arriva tramite i social network, tramite Internet: usiamo Twitter, Youtube, Facebook, che sono quasi gli unici mezzi rimasti ancora in funzione in Siria.

D. – E’ una situazione molto confusa quella del tuo Paese, una situazione drammatica. E’ anche molto difficile capire chi è che si sta opponendo alla violenza del presidente, Bashar al Assad…

R. – Sono assolutamente i liberi cittadini. Quello che sta cercando di fare il regime è creare confusione. La Siria non è mai stata un Paese democratico, sono sempre stati ricercati gli oppositori politici e nelle carceri siriane si sono sempre utilizzate torture. Oggi, si usano tante scuse per cercare di non vedere… Lì stanno rischiando la vita: abbiamo perso forse 10 mila persone, di cui 500 bambini e 400 sono dentro le carceri. Non possiamo stare in silenzio davanti a tutto questo, ma questo come cittadini del mondo.

D. – Tu e i tuoi coetanei, sempre italo-siriani, in che modo cercate di essere la voce di chi è in Siria?

R. – Da quando è iniziata la rivoluzione, abbiamo aperto un gruppo Facebook – “Vogliamo la Siria libera” – col quale siamo in contatto con siriani e non, in Italia e in Siria, quindi con l’opposizione in Siria e con chi scende a manifestare. Ci scrivono da tutte le città: è un appoggio e un sostegno ai rivoltosi perché i gruppi Facebook sono controllati – tutto Internet è controllato nel Paese – e quindi è molto rischioso per i cittadini che manifestano nelle piazze siriane appoggiarsi a un gruppo all’interno del Paese. Si appoggiano allora a gruppi esterni, all’estero, e uno di questi gruppi è il nostro. I messaggi ci arrivano direttamente dalle persone in piazza: traduciamo i video e tutti i messaggi dall’arabo all’italiano, all’inglese e facciamo informazione.

D. – Aya, come fate a essere sicuri delle notizie che vi arrivano, a non temere che ci possano essere delle forti strumentalizzazioni?

R. – Sono i messaggi dei nostri parenti, molti di quelli che sono nel gruppo hanno perso i propri familiari. Sicuramente, il fatto che non ci siano giornalisti all’interno del Paese crea moltissima confusione e arrivano messaggi falsi da ambedue le parti. Però qualcosa sta accadendo e quello che sta accedendo sicuramente non arriva a noi… E’ ancora più grave, quindi, di quello che noi vediamo attraverso Youtube.

D. – La vostra voce, che è spinta da chi sta in Siria, che cosa chiede?

R. – Chiede di poter votare democraticamente, di potersi opporre alle decisioni e quindi di avere la possibilità di poter esprimere la propria idea. Chiede di non essere ricercati e chiede il rientro dei rifugiati politici e la scarcerazione dei rifugiati politici. Chiediamo libertà!

D. – Raccontavi di questo continuo collegamento che avete con i vostri parenti in Siria: che tipo di testimonianze vi stanno arrivando?

R. – Abbiamo persone in Italia che hanno visto i propri parenti morire su Youtube… Ogni venerdì, siamo collegati per vedere tutte le manifestazioni attraverso questi video che arrivano nei social network. Col passare del tempo – e ormai siamo ad un anno dall’inizio della rivolta – abbiamo iniziato a essere colpiti uno ad uno. Sappiamo che il rischio è grosso… Noi in Italia manifestiamo, abbiamo rotto la paura, e ce ne prendiamo comunque i rischi, in Siria è più drammatico: rischi la vita.

D. – E voi, qui, cosa rischiate?

R. – Minacce, intimidazioni, rischiamo che i nostri parenti nel Paese vengano colpiti per quello che facciamo noi qui. (mg)







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