Siria: 8 mila morti dall'inizio delle proteste. Le parole di una giovane: vogliamo
libertà e democrazia
Ottomila siriani: è questo il calcolo aggiornato dei morti in un anno di ribellioni,
secondo gli attivisti antiregime. Un numero attorno al quale si rafforza l’onda del
sentimento avverso ad Assad che oggi, a Roma, prende forma in una manifestazione,
alla quale è prevista la partecipazione di molti giovani. Francesca Sabatinelli
ha parlato con una di loro, Aya Homsi, italiana di genitori siriani, con passaporto
di entrambi i Paesi. Aya, ed altri italo-siriani come lei, hanno creato un gruppo
su Facebook in costante contatto con i manifestanti in Siria. “Ciò che chiediamo è
semplice – spiega Aya – fermare i colpi sui manifestanti, rilasciare i prigionieri
politici, instaurare il dialogo nazionale, consentire il pluralismo politico ed organizzare
elezioni libere e democratiche in sei mesi”:
R. – Vivo in
Italia e ho il dovere di far arrivare il messaggio di quelle che sono le mie origini
siriane. Questo messaggio a me arriva dai liberi cittadini siriani, che stanno manifestando
nelle piazze. Arriva dai miei parenti, da tutti coloro che stanno – ahimè – rischiando
la vita per chiedere la democrazia e la libertà. E mi arriva tramite i social network,
tramite Internet: usiamo Twitter, Youtube, Facebook, che sono quasi gli unici mezzi
rimasti ancora in funzione in Siria.
D. – E’ una situazione molto confusa
quella del tuo Paese, una situazione drammatica. E’ anche molto difficile capire chi
è che si sta opponendo alla violenza del presidente, Bashar al Assad…
R. –
Sono assolutamente i liberi cittadini. Quello che sta cercando di fare il regime è
creare confusione. La Siria non è mai stata un Paese democratico, sono sempre stati
ricercati gli oppositori politici e nelle carceri siriane si sono sempre utilizzate
torture. Oggi, si usano tante scuse per cercare di non vedere… Lì stanno rischiando
la vita: abbiamo perso forse 10 mila persone, di cui 500 bambini e 400 sono dentro
le carceri. Non possiamo stare in silenzio davanti a tutto questo, ma questo come
cittadini del mondo.
D. – Tu e i tuoi coetanei, sempre italo-siriani, in che
modo cercate di essere la voce di chi è in Siria?
R. – Da quando è iniziata
la rivoluzione, abbiamo aperto un gruppo Facebook – “Vogliamo la Siria libera” – col
quale siamo in contatto con siriani e non, in Italia e in Siria, quindi con l’opposizione
in Siria e con chi scende a manifestare. Ci scrivono da tutte le città: è un appoggio
e un sostegno ai rivoltosi perché i gruppi Facebook sono controllati – tutto Internet
è controllato nel Paese – e quindi è molto rischioso per i cittadini che manifestano
nelle piazze siriane appoggiarsi a un gruppo all’interno del Paese. Si appoggiano
allora a gruppi esterni, all’estero, e uno di questi gruppi è il nostro. I messaggi
ci arrivano direttamente dalle persone in piazza: traduciamo i video e tutti i messaggi
dall’arabo all’italiano, all’inglese e facciamo informazione.
D. – Aya, come
fate a essere sicuri delle notizie che vi arrivano, a non temere che ci possano essere
delle forti strumentalizzazioni?
R. – Sono i messaggi dei nostri parenti, molti
di quelli che sono nel gruppo hanno perso i propri familiari. Sicuramente, il fatto
che non ci siano giornalisti all’interno del Paese crea moltissima confusione e arrivano
messaggi falsi da ambedue le parti. Però qualcosa sta accadendo e quello che sta accedendo
sicuramente non arriva a noi… E’ ancora più grave, quindi, di quello che noi vediamo
attraverso Youtube.
D. – La vostra voce, che è spinta da chi sta in Siria,
che cosa chiede?
R. – Chiede di poter votare democraticamente, di potersi opporre
alle decisioni e quindi di avere la possibilità di poter esprimere la propria idea.
Chiede di non essere ricercati e chiede il rientro dei rifugiati politici e la scarcerazione
dei rifugiati politici. Chiediamo libertà!
D. – Raccontavi di questo continuo
collegamento che avete con i vostri parenti in Siria: che tipo di testimonianze vi
stanno arrivando?
R. – Abbiamo persone in Italia che hanno visto i propri parenti
morire su Youtube… Ogni venerdì, siamo collegati per vedere tutte le manifestazioni
attraverso questi video che arrivano nei social network. Col passare del tempo – e
ormai siamo ad un anno dall’inizio della rivolta – abbiamo iniziato a essere colpiti
uno ad uno. Sappiamo che il rischio è grosso… Noi in Italia manifestiamo, abbiamo
rotto la paura, e ce ne prendiamo comunque i rischi, in Siria è più drammatico: rischi
la vita.
D. – E voi, qui, cosa rischiate?
R. – Minacce, intimidazioni,
rischiamo che i nostri parenti nel Paese vengano colpiti per quello che facciamo noi
qui. (mg)