2012-02-19 15:06:43

Cinema. Dopo 20 anni l’Orso d’Oro torna in Italia grazie ai fratelli Taviani


La 62.ma Berlinale si conclude con due grandi sorprese. La prima è che per la seconda volta consecutiva i giudizi della Giuria Internazionale e della Giuria Ecumenica coincidono, la seconda è che a distanza di oltre 20 anni un film italiano si aggiudica l’Orso d’oro. Se nel 2011, infatti, le due giurie concordarono su un bel film turco, “Bal” (Miele) del regista Semik Kaplanoglu, quest’anno tutti si sono schierati per lo straordinario “Cesare deve morire” di Paolo e Vittorio Taviani. Ambientato nel carcere romano di Rebibbia, fra detenuti imprigionati per gravi reati quali omicidi, traffico internazionale di stupefacenti, mafia e camorra, il film segue il casting, le prove e la rappresentazione del “Giulio Cesare” di Shakespeare secondo i metodi di lavoro del regista teatrale Fabio Cavalli. Di fronte a corpi scavati dalla vita che cercano una riabilitazione nell’arte, i due anziani cineasti ritrovano quella rigorosa semplicità di messa in scena che aveva caratterizzato la loro maturità e ci consegnano un film tanto entusiasmante quanto necessario. La buona qualità complessiva del concorso berlinese viene sancita anche dagli altri premi della Giuria internazionale, così come da quelli delle Giurie parallele. Se, infatti, l’Orso d’argento, Premio Speciale della Giuria, dato a “Just the wind” dell’ungherese Bence Fliegauf, che racconta degli omicidi mirati di famiglie rom in un Paese divorato dall’odio razziale, risulta particolarmente importante sul piano artistico e politico, non meno importante è quello alla Regia, assegnato al tedesco Christian Petzold, che con “Barbara” ci consegna il problematico ritratto di una donna incerta fra le lusinghe della fuga e la dignità del lavoro. Così come ci sembrano estremamente significativi almeno altri due premi, uno speciale Orso d’argento e il Premio Alfred Bauer, che consacrano il talento di due giovani autori. Il primo va a “L’enfant d’en haut” della svizzera Ursula Meier, il secondo a “Tabu” del portoghese Miguel Gomez, che si aggiudica anche il Premio Fipresci della stampa internazionale. Se il film svizzero è particolarmente forte perché ci rivela il disagio sociale e il bisogno di umanità esistenti in un Paese ufficialmente prospero come la Confederazione Elvetica, quello portoghese si conferma la vera sorpresa del Festival, sia per il suo curioso approccio narrativo, sia per una messa in scena innovativa che, a distanza di giorni, ancora non smette di affascinare. (Da Berlino, Luciano Barisone) RealAudioMP3







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