Raggiungere i giovani lontani dalla fede: la sfida dell'incontro nazionale di Pastorale
giovanile a Loreto
La sfida è raggiungere i giovani lontani, l’obiettivo è farlo in modo capillare a
livello locale ma sempre in comunione con tutta la Chiesa. Così don Nicolò Anselmi,
responsabile del Servizio Nazionale per la pastorale giovanile della Cei, in occasione
della tre giorni di lavori a Loreto, dal titolo “Con il passo giusto”, a cui hanno
preso parte i nuovi incaricati diocesani italiani. Idee, proposte e azioni concrete
per rendere efficace il servizio pastorale e far avvicinare alla fede tanti ragazzi,
anche attraverso linguaggi nuovi. Sentiamo lo stesso don Anselmi, al microfono
di Cecilia Seppia:
R. – L’obiettivo
principale di questo corso per i nuovi incaricati di pastorale giovanile è abbastanza
ambizioso. Si vuole ribadire la centralità e l’importanza di tutta la Chiesa, nel
senso che la comunità cristiana e il soggetto della pastorale giovanile non sono soltanto
alcuni aspetti, ma tutti si devono interessare dei giovani, specialmente gli adulti
devono essere dei testimoni e degli esempi di un Vangelo vissuto, di una fede incarnata.
Il secondo obiettivo ambizioso è quello di far sì che i giovani possano – come diceva
il Santo Padre, parlando alla Curia Romana – ridare quella freschezza, quello slancio,
quella semplicità evangelica a tutta la Chiesa; quella freschezza e quella gioia che
ha visto a Madrid. Il terzo obiettivo è quello di pensare nuove modalità per raggiungere
tutti quei giovani che si sono allontanati dalla comunità cristiana e che hanno diritto
di vedere il volto di Gesù.
D. – Come si fa a raggiungere i cosiddetti "lontani",
qual è il modo più efficace per riportare i giovani alla fede?
R. – Ci sono
varie modalità: la prima delle quali è ovviamente la testimonianza che ogni giovane
deve dare nei luoghi in cui è chiamato a vivere. Ci sembra anche, in armonia con quanto
ci dicono i vescovi italiani, che una delle strade privilegiate sia quella di costruire
una grande comunità educativa, una grande alleanza con tutte le persone che si occupano
di giovani: pensiamo ai genitori, ma soprattutto agli insegnanti, ai formatori delle
scuole professionali, agli allenatori sportivi. Tutte queste persone, molte delle
quali sono cattoliche, sì che incontrano i giovani, a scuola ci sono tutti.
D.
– I giovani di oggi spesso hanno difficoltà ad avere dalla Chiesa le risposte a tutte
le loro domande, eppure di domande ne fanno tante e hanno continuamente fame e sete
di Gesù…
R. – Molti giovani si trovano nella situazione di non essere credenti,
ma in realtà desiderano credere: questa è la mia sensazione. C’è un mondo giovanile
che fa soprattutto questa domanda di fede: “Io vorrei credere”. Quindi il nostro primo
dovere è quello di dare delle motivazioni per credere, delle motivazioni concrete,
delle motivazioni anche culturalmente significative e delle motivazioni esistenziali
e quindi testimoniare la bellezza e la gioia di credere. Credo che i giovani abbiano
bisogno di questo: hanno una sete di amore, hanno bisogno di non sentirsi soli e abbandonati
sulla terra, ma di comprendere che la nostra vita ha un disegno, un progetto, una
speranza, un orizzonte futuro – direi – eterno.
D. – Spesso la pastorale giovanile
ha concepito anche iniziative come missioni di evangelizzazione nelle scuole laboratori…
Quanto servono, don Anselmi, questo tipo di iniziative? Sono un punto di contatto
con i giovani, un modo per avvicinarli, oppure si fa fatica anche cosi?
R.
– Io penso che siano delle cose buone, dove l’importante è che ci sia un prima e un
poi, nel senso che nascano non soltanto dall’iniziativa di alcune persone un po’ slegate
da un contesto ecclesiale, ma nascano da tutta la comunità cristiana, che decide che
tutta la Chiesa è missionaria: se non è missionaria che cos’è? Quindi tutta la comunità
cristiana e quindi ogni parrocchia, ogni diocesi deve essere costantemente missionaria.
Devono avere un “poi”, nel senso che la persona avvicinata ha bisogno di accompagnamento,
noi diremmo oggi di educazione, di poter ritrovare una comunità che gli ha parlato
di Gesù, ma che lo riaccoglie e lo aiuta a conoscerlo sempre più approfonditamente,
a testimoniarlo e a viverlo. Invito tutti – come diceva Giovanni Paolo II – ad avere
coraggio, a non avere paura, a non vergognarsi del Vangelo e a andare incontro ai
giovani che ci aspettano. (mg)