Esenzione Ici. Cardia: una norma che riguarda tutti e non solo la Chiesa. Tutelare
il no-profit
Il premier italiano Mario Monti ha comunicato al vicepresidente della Commissione
europea, Joaquin Almunia, l’intenzione di presentare al Parlamento un emendamento
sulle esenzioni Ici per gli immobili. In un comunicato, pubblicato sul sito web di
Palazzo Chigi, si informa che verranno esentati solo gli immobili nei quali si svolge
in “modo esclusivo” un’attività non commerciale. Dal canto suo, il portavoce della
Cei, don Domenico Pompili, ha affermato in una nota che ogni intervento di chiarimento
è “accolto con la massima attenzione e senso di responsabilità”. Al contempo, don
Pompili auspica che sia riconosciuto “il valore sociale del mondo no-profit”. Sui
cambiamenti annunciati da Monti, Alessandro Gisotti ha intervistato il giurista
Carlo Cardia, docente di diritto ecclesiastico all'Università Roma Tre:
R. – Mentre
prima si parlava del fatto che l’esenzione dell’Ici riguardasse le attività di religione,
di culto, assistenziali, caritative, sociali, no-profit – perché la norma, ricordiamo,
non riguarda la Chiesa ma tutte le Chiese e tutte le associazioni, anche laiche, che
svolgono attività sociali - e tutti quegli immobili che non erano esclusivamente commerciali,
ora invece vengono aggiunte due cose. L’esenzione riguarda gli immobili che non sono
esclusivamente ad uso commerciale; seconda cosa, laddove vi siano attività miste l’esenzione
riguarda solo quella parte dell’immobile dove si svolgono attività non commerciali.
Da un lato, da un punto di vista concettuale, vi è una demarcazione più precisa, ma
dall’altro non è sempre facile stabilire con il metro quadrato dove finisce l’attività
commerciale. Ricordiamo, tra l’altro, che si tratta di attività commerciali estremamente
modeste. Io, come tecnico, manifesto la perplessità che si possa riaprire un contenzioso
nei casi specifici.
D. – I giornali titolano: “Svolta sull’esenzione dell’Ici
alla Chiesa”. Nel comunicato ufficiale di palazzo Chigi, però, la Chiesa non è neppure
nominata…
R. – Questa è una tematica che riguarda tutti. Di svolta non se ne
parla per niente, perché si tratta di un chiarimento all’interno di una lettura che,
purtroppo, riguarda norme che presentano, dal punto di vista tecnico, delle ambiguità.
E’ la vita reale che presenta delle ambiguità, ma sicuramente non c’è la svolta nei
confronti della Chiesa. C’è, piuttosto, una reinterpretazione che riguarda tutti.
D.
– Del resto, la Chiesa già paga l’Ici su molti beni immobili. Anche questo è un altro
mito da sfatare: si pensa, appunto, che da domani la Chiesa pagherà l’Ici che prima
non aveva mai pagato su nulla…
R. – Vorrei dire un paio di cose proprio su
quest’aspetto. In primis, chi ha seguito la polemica ha visto che sono stati chiamati,
per nome e cognome, degli importanti immobili appartenenti ad enti ecclesiastici ed
è poi risultato che questi pagavano normalmente l’Ici. La seconda cosa è che le attività
devono essere libere quando svolgono una funzione sociale: non si devono sentire quasi
colpevolizzate, come se quest’esenzione fosse una loro colpa. Questo è il punto essenziale,
che riguarda tutti.
D. – Non c’è il rischio che queste nuove tassazioni, di
fatto, incidano sul mondo del no-profit, ancora più fondamentale in questo periodo
di crisi economica?
R. – Il rischio c’è, ed è il rischio di un contenzioso.
Già il contenzioso pone l’ente no-profit in una condizione di singolarità, perché
non sa cosa deve pagare, non sa com’è il suo bilancio e così via. Teniamo conto che
si tratta di enti abbastanza deboli: non sono delle holding o delle società, ma sono
tutti fondati sul volontariato. La preoccupazione che tutto ciò possa aprire una fase
di disagio esiste. Al momento, però, quello che abbiamo è un comunicato da parte della
Presidenza del Consiglio: la norma ancora non c’è. Spero, quindi, che si tenga conto
di tutto questo nella riscrittura della norma, proprio per evitare che si apra un’altra
“zona grigia” o di ambiguità, che va poi a svantaggio di chi svolge queste attività
sociali. (vv)