Spese militari in Italia. Rete per il Disarmo: taglio al personale ma investimenti
ingenti in armi
L'Italia è in recessione tecnica e sono già state introdotte diverse misure anticrisi.
Ma ci sono settori in cui la spesa non diminuisce. E’ il caso del comparto militare,
per il quale lo Stato spende complessivamente oltre 21 miliardi di euro all’anno.
Il ministro della Difesa, l'Ammiraglio Giampaolo Di Paola, ha in realtà annunciato
tagli del 20 per cento al personale nell’arco di un decennio. Ma si tratta di una
“finta riforma” che non comporterà “alcun risparmio”, sottolinea al microfono di Amedeo
Lomonaco il coordinatore della “Rete Italiana per il Disarmo” Francesco Vignarca:
R. – Effettivamente
in Italia abbiamo una forte spesa per il personale, però non basta solo spostare questa
spesa e ridurla, cancellando quindi dei posti di lavoro e dismettendo il personale
militare se poi, contemporaneamente, si vanno ad acquistare più armi. Questo, oltretutto,
ci renderebbe ancora più schiavi di programmi a lunga gittata come anni e, soprattutto,
inutili e di impatto più forte.
D. – A proposito di armamenti l’Italia, nei
prossimi anni, acquisterà 90 caccia bombardieri F35 e non 130, come inizialmente previsto.
La spesa è di circa oltre 15 miliardi di euro. Questa spesa secondo voi è giustificata?
R.
– Secondo noi no. Continueremo nella nostra campagna, “Taglia le ali alle armi”, affinché
questi bombardieri arrivino a zero. Quello che il ministro Di Paola non dice, in questi
giorni in cui conferma gli F35, è che la stessa ‘Lockheed Martin’ – l’azienda produttrice
– ha affermato che il taglio delle prenotazioni americane e degli alleati comporterà
una crescita del costo unitario per singolo aereo. Quindi noi andremo magari a comprarne
di meno ma spendendo poco di meno. Insomma, assolutamente un cattivo affare.
D.
– Ogni caccia costa 120 milioni di euro: voi fate notare che con questa cifra si
potrebbero costruire 185 asili nido per esempio ...
R. – ... tra l’altro,
tutti i fondi nazionali delle politiche sociali, che sono quelli che servono a garantire
i livelli essenziali di assistenza sul territorio, sono diminuiti. Sono diminuiti
del 16 per cento negli ultimi anni, mentre la spesa della Difesa neanche dell’uno
per cento. Crediamo che un Paese che investe in aerei che, bene che andrà, non dovranno
essere usati, stia in realtà ‘uccidendo’ delle persone non garantendo assistenza.
Questo non è il modo di costruire il futuro e non è il modo di difendere la vita degli
italiani.
D. – Un'altra considerazione: le spese e gli investimenti in armamenti
non hanno effetti particolarmente virtuosi per la creazione di posti di lavoro …
R.
– Quest’aspetto ci dovrebbe far riflettere. Facciamo un esempio di ‘casa nostra’,
la Finmeccanica. La Finmeccanica, quest’anno, sta decidendo di tagliare quattro mila
posti di lavoro. Si tratta di una società che negli ultimi tre anni ha fatto complessivamente
quasi due miliardi di euro di utile e non riesce, solo per un anno di congiuntura
sfavorevole delle spese militari, a garantire livelli occupazionali. Questo dimostra
quanto diciamo da sempre: investire i soldi nell’industria militare e nell’acquisto
di armamenti non solo è eticamente sbagliato per chi è disarmista e non violento come
noi, ma è anche poco conveniente, perché questa non è l’industria più efficiente per
far funzionare l’economia. Se mettessimo gli stessi soldi nell’energia pulita, nella
sanità o nell’assistenza, avremmo il 60 per cento di posti di lavoro in più. Posti
che non muoiono con il chiudersi delle commesse, ma rimangono. Un ultimo dato: il
commercio di armi è circa il 2,5 per cento del commercio mondiale complessivo, ma
è responsabile del 50 per cento della corruzione mondiale. Noi non dobbiamo più investire
in quel comparto economico ma in altri molto più utili. (vv)