2012-02-15 15:07:08

La stampa cattolica italiana affronta la crisi e il taglio dei fondi pubblici con l’aiuto delle diocesi


In questi giorni, grande attenzione viene dedicata alla condizione in cui versa la stampa italiana alle prese con la crisi e i tagli dei fondi pubblici. Tante testate rischiano di chiudere paventando centinaia di licenziamenti. Ma come vivono i settimanali e i periodici diocesani? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Francesco Zanotti, presidente della Federazione italiana settimanali cattolici: RealAudioMP3

R. – Vivono momenti di grande apprensione e di difficoltà. Dopo un 2010 molto difficile, il 2011 non è stato da meno. Nel 2010, abbiamo dovuto affrontare l’emergenza delle tariffe postali che d’un colpo, tra la notte del 31 marzo e il primo aprile, aumentarono del 121%. Quindi per noi – a campagna abbonamenti chiusa – questo ha comportato un incremento di costi notevole, non potendo più agire sulla parte degli abbonamenti. Allora, abbiamo dovuto fare di necessità virtù, decidendo di tagliare uscite e pagine. In certo qual modo, anche in quell’occasione è stata una sorta di “bavaglio all’informazione”, una sorta di censura. Nel 2011, invece, abbiamo dovuto affrontare i tagli ai fondi per l’editoria. Tagli che hanno ulteriormente colpito ad anno ampiamente avviato, quando ad ottobre-novembre si è scoperto che il fondo per l’editoria era ridotto al 30% del suo ammontare.

D. – Queste testate, senza il contributo pubblico, non riescono a vivere?

R. - Queste testate percepiscono il contributo pubblico solamente per una parte: circa una settantina di testate sulle 190 che aderiscono alla Federazione italiana settimanali cattolici, per un milione di copie a settimana. Si tratta delle maggiori testate, quelle più organizzate, quelle più grandi. Nel suo complesso, ai giornali cattolici arrivano circa quattro milioni di euro l’anno che su un ammontare di 150 milioni sono veramente briciole. Ma su queste briciole, noi ci contiamo. Per il futuro, noi abbiamo fatto ricorso a due principi da applicare: rigore ed equità. Rigore perché bisogna essere più rigorosi nel concedere questi contributi a chi è virtuoso e a chi svolge un reale servizio informativo; equità perché situazioni simili andrebbero trattate, a nostro avviso, in maniera uguale.

D. – Quante sono le testate cattoliche a rischio?

R. – A rischio pensiamo non ce ne siano tantissime, anzi vorremmo dire che non ce n’è nessuna. Con questo intendo dire che le diocesi provvedono sempre ad aiutarci in qualche modo, anche se ci rendiamo conto che non sarà facile far fronte con decine di migliaia di euro, al posto dei contributi per l’editoria che si aggirerebbero intorno ad alcune centinaia di migliaia di euro. Questo comporta ulteriori riduzioni di uscite, pagine e colore, quindi una contrazione nell’informazione da parte nostra.

D. – Quante sono le persone impiegate nelle testate cattoliche?

R. – Per i giornali che percepiscono i contributi pubblici, occupiamo circa 400 persone tra grafici, amministrativi e giornalisti. Ma nel complesso, noi diamo lavoro a 600-700 persone in Italia e a migliaia di collaboratori. Non solo, i giornali diocesani hanno sempre costituito una fucina di giornalisti: sono stati una scuola di giornalismo per tanti che oggi sono giornalisti famosi e per tanti giovani che ancora oggi non trovano posto dove poter provare la professione giornalistica.

D. – Cosa fanno i giornali cattolici? Qual è la loro missione?

R. - La loro missione, per definizione, è quella di occuparsi del territorio, dell’Italia e del mondo. Non siamo certamente giornali che si occupano di informazione ecclesiale ma siamo giornali ecclesiali - l’appartenenza è chiara, cioè la comunità diocesana - che si occupano dell’informazione in generale.

D. – Forse, in futuro, i giornali di carta spariranno: i periodici cattolici sono pronti alla migrazione sul web?

R. – Siamo pronti a questa sfida. Non crediamo che il web chiuderà i giornali di carta, ma si aggiungerà, come è sempre stato, un nuovo media agli altri esistenti. Nella storia recente, abbiamo compreso che il media nuovo – all’inizio – ha un po’ ucciso quello precendente, ma poi lo ha amplificato, gli ha fatto da cassa di risonanza. Più della metà dei nostri giornali possiede già un sito web e molti di questi lo aggiornano costantemente. Quindi, in un certo senso, anticipiamo anche i quotidiani. (bi)







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