Il Parlamento europeo punta il dito contro la troika sulla gestione della crisi greca
Il Parlamento europeo s’interroga sulla democraticità delle imposizioni della “Troika”,
formata da Ue, Bce e Fmi, a carico della Grecia. La Conferenza dei capigruppo dell’Europarlamento
ha chiesto, infatti, ai membri della "Troika", e in particolare al presidente della
Commissione Barroso e al vicepresidente Rehn, di riferire circa quello che i deputati
definiscono un approccio punitivo al problema della sovranità greca, tradendo il principio
della solidarietà. Sulla questione, Stefano Leszczynski ha intervistato il
presidente del Movimento europeo, Pier Virgilio Dàstoli:
R. – La Trojka
va in missione ad Atene sulla base di un mandato che le è stato dato dalla Commissione,
dall’Eurogruppo, e quindi sulla base di un mandato che le è stato dato dalle istituzioni,
che oggi hanno in mano non soltanto il destino della Grecia, ma in generale il destino
dell’euro e del progetto europeo. Al di là del ruolo della Trojka, il problema più
generale che – credo – noi ci dobbiamo porre è fino a che punto tutto quello che si
sta mettendo in piedi oggi corrisponda ad una disciplina democratica? A chi rispondono
quelli che oggi a Bruxelles prendono decisioni nel nome dei 17 Paesi dell’Eurozona?
D.
– Quindi in sostanza possiamo dire che quello che la Trojka pretende dalla Grecia
è un po’ la decisione presa da alcuni Stati più forti nell’ambito dell’Unione Europea
a nome di tutta l’Unione?
R. – Di tutta l’Unione è difficile dirlo, ma certamente
a nome dei 17 Paesi che hanno la moneta unica.
D. – I capigruppo sia del Partito
popolare che del Partito socialdemocratico si preoccupano del fatto che in tutte queste
misure anticrisi, che vengono imposte a determinati Paesi, la Grecia in primis, non
c’è nulla che punti a favorire la crescita….
R. – Questo è vero! La scelta
di fare un Trattato internazionale al di fuori dei Trattati è evidente che esclude
qualunque possibilità di misure che concernono la crescita. Le misure che concernono
la crescita possono essere prese soltanto all’interno dell’Unione Europa. Un Trattato
internazionale, per sua natura, non può garantire misure che riguardano la crescita.
D. – Da un punto di vista istituzionale, come risponde la Commissione di fronte
al Parlamento europeo?
R. – Intanto la Commissione deve rispondere proprio
per criteri istituzionali di fronte al Parlamento Ue che l’ha eletta e le ha dato
il voto di fiducia. Quindi il primo interlocutore della Commissione è certamente il
Parlamento europeo. In misura molto più debole risponde al Parlamento europeo anche
il presidente del Consiglio europeo: fra l’altro il Consiglio europeo è oggi un’istituzione
che è iscritta nei Trattati e il Consiglio europeo, anch’esso, è sottoposto – laddove
assume delle decisioni – al controllo anche della Corte di Giustizia. Il problema
è che appare in maniera evidente che in tutti questi mesi c’è stato un tentativo da
parte di alcuni governi di mettere da parte la Commissione europea: anche nel Trattato
internazionale il primo testo, che era stato concepito a metà di dicembre, cercava
di ridurre al minimo i poteri della Commissione europea, anche perché – come dicevo
prima – la Commissione europea è sottoposta ad un controllo democratico a cui non
sono sottoposte le altre istituzioni.
D. – Professore, come Movimento europeo
avete individuato un elemento che è venuto a mancare negli ultimi decenni in Europa,
quello dell’unità politica: ma in che modo questa mancanza si può inserire in quello
che vediamo oggi?
R. – L’unione politica non è una cosa teorica; l’unione politica
è basata sul principio di una evoluzione di quello che è già scritto nei Trattati.
Nei Trattati abbiamo scritto che l’Unione Europea deve essere basata su alcuni valori,
che hanno anche una ragione di essere giuridica e quindi la solidarietà, la tolleranza,
il rispetto… Quindi noi chiediamo che si riprenda il cammino che è stato indicato
nei Trattati. Dobbiamo dare ai nostri popoli delle speranze e delle indicazioni per
il futuro. (mg)