Vertice Ue-Cina. Pechino preoccupata per la crisi economica europea
La crisi del debito sovrano nell'eurozona è arrivata ad "un punto critico". E' l'opinione
"preoccupata" espressa dal portavoce del Ministero degli esteri cinese, alla vigilia
del vertice Ue-Cina a Pechino e all'indomani del difficilissimo "sì" del parlamento
greco alle nuove misure di austerity chieste da Bruxelles e dal Fondo monetario
internazionale (Fmi). La soluzione, secondo i vertici cinesi, passa attraverso una
spinta per le riforme strutturali e di lungo periodo. Salvatore Sabatino ne
ha parlato con il prof. Gianfranco Viesti, docente di Economia applicata presso
l’Università di Bari:
R. - Quello
che è avvenuto in Grecia è stato importante, ma non è certamente una soluzione. Anzi,
il rischio è che quel Paese sia condannato a molti anni di difficile austerità, grandi
tensioni e sofferenze sociali, senza che tutto ciò possa risolvere il problema alla
radice. Il problema non si risolve ad Atene: si risolve in Europa attraverso un’azione
concertata. Atene ha fatto la sua parte, adesso è il turno dei grandi Paesi europei.
D.
- L’asse economico-finanziario mondiale si è indubbiamente spostato verso Oriente,
verso quella Cina che oggi esprime preoccupazioni. Dobbiamo, però, dire che la Cina
ha grandi interessi in campo...
R. – Certamente. La Cina è un partner interessante
ma non disinteressato, nel senso che è un Paese grande, avanzato, molto ricco, con
grandi riserve valutarie che possono giocare un ruolo importante anche su scala internazionale.
Allo stesso tempo, è un Paese anche molto deciso a tutelare i propri interessi. Questo
mi sembra abbastanza normale. La collaborazione internazionale non è fatta di entità
che perseguono semplicemente il bene comune, ma da entità che hanno i loro propri
obiettivi. Si tratta di mediarle con attenzione.
D. – Perché le economie occidentali
hanno fatto ricorso alla vendita dei propri debiti? Era una strada obbligata o si
poteva risolvere diversamente il problema?
R. – Il grande problema viene sempre
dagli Stati Uniti, cioè dalla crisi finanziaria dello scorso anno. Il problema non
è tanto l’ammontare del debito in Europa, quanto il fatto che siano aumentati i tassi
di interesse. Il Giappone ha un debito grande il doppio dell’Italia, ma non ha nessun
problema perché i tassi di interesse rimangono bassi. Dunque, il problema non è averlo
accumulato: oggi la questione principale è riuscire a imporre ai mercati finanziari
internazionali il fatto che non è immaginabile che si paghi il 7% sui titoli italiani,
piuttosto che il 20 su quelli portoghesi o il 40 su quelli greci: in questo modo non
può funzionare.
D. – Ritorniamo alla Grecia: un possibile default causerebbe
davvero un effetto domino ingestibile per l’intera Europa?
R. – La verità è
che non lo sappiamo, perché non è mai successo, ma temiamo di sì. Proprio in base
a ciò cui abbiamo assistito negli ultimi mesi – e che non avremmo mai pensato potesse
accadere – è bene avere un principio di precauzione: immaginare dunque che un grande
problema greco possa trasmettersi a tutta l’Europa. Nel nostro interesse è da evitare
certamente. Poi, c’è un tema più di fondo: noi non abbiamo costruito l’Europa per
i mercati finanziari, ma per tenere insieme popoli diversi. E quindi, dobbiamo fare
tutto il possibile per far sì che anche il popolo greco rimanga strettamente legato
a noi, perché l’Europa è nata proprio dalla volontà di stare insieme. Credo che ci
siano, e che ci debbano essere, degli obiettivi politici – che sono stati gli obbiettivi
di tutti i grandi Paesi europei – che devono tornare in preminenza rispetto a quelli
strettamente finanziari.
D. – Questa situazione di rischio generalizzato a
chi fa comodo? Chi potrebbe trarne realmente vantaggio?
R. – C’è molta gente
che ci guadagna. Ci sono fondi speculativi che giocano sul fallimento della Grecia;
guadagna per esempio l’Olanda, perché le imprese portoghesi spostano la sede legale
in Olanda e pagano le tasse lì; guadagnano i grandi Paesi europei, anche noi, che
prestiamo i soldi alla Grecia in cambio di interessi… Dove c’è qualcuno che perde,
c’è sempre qualcuno che guadagna. Questo non è anormale: il punto anormale è che questi
guadagni sono fatti a rischio di gravi fallimenti politici, sociali, economici dell’intera
Europa. È questo che non è accettabile. (bi)