Lega Araba contro Damasco: forze di pace in Siria. Commento del rettore del Pontificio
collegio armeno
Una ''forza di pace'' congiunta Lega Araba-Onu per trovare una soluzione alla crisi
siriana. Riprende l’iniziativa diplomatica dell’organizzazione panaraba e del suo
segretario generale Nabil el Araby: i ministri degli Esteri della Lega Araba hanno
infatti sollecitato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a varare una missione
congiunta col compito di monitorare e verificare l'attuazione di un cessate il fuoco
immediato in Siria. Damasco considera la proposta come un atto ostile mentre la Russia
ha fatto sapere che la esaminerà, sollecitando uno stop all’uso delle armi. Mentre
si attende in queste ore la discussione all'Assemblea Generale di una risoluzione
di condanna del regime di Bashar al Assad elaborata dai Paesi arabi, i responsabili
delle diplomazie arabe hanno deciso di porre fine alla loro missione di osservatori
in Siria, con le dimissioni del capo missione Mohamed el Dabi. Prevista poi il 24
febbraio in Tunisia una conferenza degli 'amici della Siria'. Sul terreno però proseguono
le violenze: le forze fedeli ad Assad hanno ripreso a bombardare la città di Homs,
roccaforte della resistenza. Segnalati anche rastrellamenti nelle zone vicino a Damasco.
Ieri il pensiero di Benedetto XVI all’Angelus era andato proprio alla Siria, con un
“pressante appello a porre fine alla violenza e allo spargimento di sangue”. Quale
eco hanno le parole del Pontefice in Siria? Risponde mons. Kevork Noradounguian,
armeno della Siria, originario di Aleppo, rettore del Pontificio collegio armeno di
Roma. L’intervista è di Giada Aquilino:
R. – Sua Santità
ha letto davvero i cuori e le menti della popolazione della Siria, perché è auspicio
di tutti i cittadini siriani porre fine alle violenze e agli spargimenti di sangue
ed incontrasi attorno ad un tavolo.
D. – Benedetto XVI ha ricordato nella
preghiera le vittime, “fra cui - ha detto - ci sono molti bambini”. Qual è la situazione
sul terreno al riguardo?
R. – Una volta saltata la tappa del dialogo, ci si
è rivolti alle armi e ora ci vanno di mezzo tutti. Le armi non hanno una religione,
non hanno coscienza e non distinguono fra innocenti, bambini, donne, vecchi, anziani.
Purtroppo queste sono le leggi della guerra.
D. – Come vivono i cristiani in
Siria?
R. – In Siria, noi siamo cresciuti e abbiamo avuto un’educazione col
concetto di cittadinanza laica: da noi si dice sempre “la patria è di tutti, la religione
è di Dio”. Quindi quello che vive un cristiano in Siria è quello che vive ogni cittadino
siriano, che sia musulmano, sunnita o sciita. Viviamo tutti come cittadini e quello
che accade in Siria lo viviamo allo stesso modo: è sempre la stessa cosa per tutti.
D.
– Da più parti si è parlato del rischio di una ‘irachenizzazione’ del conflitto, con
l’accentuazione delle divisioni tra le varie confessioni religiose: che rischi corre
la minoranza cristiana in Siria?
R. – Vedo un po’ difficile che qui il caso
dell’Iraq si ripeta. Certamente il rischio c’è, diciamo che è minore: se si continua
ad appoggiare una parte contro l’altra, se si continua sempre a giocare sulle differenze
religiose, certo anche le forze dell’uomo possono non bastare. Fino a questo momento
non vedo tale rischio: la cristianità è proprio nel profondo; la religione è una relazione
con Dio e non con lo Stato. Se continuano ancora questi fenomeni, con la strada del
dialogo chiusa, certo che poi possono anche risvegliarsi conflitti intercomunitari.
D. – La comunità cristiana in Siria come è formata?
R. – Ci sono gli
armeni, ci sono i greco-cattolici, ci sono i caldei, ci sono tutte le Chiese d’Oriente:
ci sono le Chiese orientali nei due rami, il ramo cattolico e il ramo ortodosso, come
greco-cattolici e greco-ortodossi; siriaco-cattolici e siriaco-ortodossi.
D.
– Quanti sono i cristiani oggi in Siria?
R. – Si parla di circa un milione,
circa il 7-8 per cento della popolazione, che oggi è di circa 17-18 milioni di abitanti.
D.
– Ancora nelle ultime ore un messaggio di sostegno di Al Qaeda alla rivoluzione siriana:
Al Zawahiri ha esortato i siriani a non contare sull’Occidente, sugli Stati Uniti,
sui governi arabi o sulla Turchia. C’è il pericolo di infiltrazioni terroristiche
nel futuro del Paese?
R. – Penso che già ci siano. Ci sono cose preparate,
progettate e sponsorizzate dal di fuori.
D. – La Lega Araba, l’Onu, la comunità
internazionale in generale: che aiuto può arrivare a questo punto alla Siria?
R.
– Possono fare tutto e tanto, possono impegnarsi per cercare di convocare tutti attorno
ad un tavolo, per arrivare al dialogo. (mg)