Italia, liberalizzazioni e riforma del lavoro: l'analisi di Stefano Zamagni
"E' fondamentale concepire anche la riforma del mercato del lavoro in funzione di
un accrescimento della produttività che, purtroppo, in Italia è stata stagnante da
molti anni". Lo ha affermato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che
ha incontrato il omologo tedesco, Christian Wulff . Napolitano sottolinea anche come
la spesa pubblica non vada tagliata alla cieca. Liberalizzazioni e riforma del mercato
del Lavoro continuano, dunque, a essere al centro del dibattito politico in Italia.
Domani, si apre la discussione alla Commissione industria del Senato: sul decreto
del governo pesano 2.299 emendamenti. Stamani, intanto, incontro fra sindacati e Rete
impresa Italia. Debora Donnini ha chiesto un parere al prof.Stefano
Zamagni, docente di Economia all’Università di Bologna:
R. - Sono i
tipici emendamenti di chi vuole difendere la propria posizione. Ricadiamo nella logica
dell’individualismo sfrenato, in base al quale ogni piccola corporazione difende se
stessa. Dov’è il bene comune? Quegli emendamenti non sono una cosa “seria”, dunque,
salvo qualche rara eccezione, perché affermano sostanzialmente: noi non vogliamo che
il decreto liberalizzazioni tocchi il nostro interesse, deve toccare quello degli
altri. Ma gli altri fanno lo stesso ragionamento. Su questo, il governo dovrebbe essere
molto duro: dovrebbe alzare il tono culturale, spiegando a tutti la differenza che
c’è tra bene di parte e bene totale.
D. - L’altro tema "caldo" in questo momento
è quello della riforma del marcato del lavoro…
R. - Art. 18, mercato del lavoro:
la piega che ha preso il dibattito personalmente a me non piace, perché non affronta
il problema all’origine, ovvero: vogliamo o no decidere qual è la natura del lavoro
umano? Il lavoro è una merce e basta, oppure è l’attività attraverso la quale le persone
si realizzano? Se il lavoro è merce, allora aboliamo l’articolo 18, aboliamo tutto,
perché la merce è merce, può essere comprata, venduta… Ma questa è una china pericolosa:
l’articolo 18 ha un valore simbolico. Allora bisogna stare attenti. Ritengo che la
faccenda dell’articolo 18 sia un falso problema, perché in Italia dall’articolo 18
saranno influenzate una manciata di imprese: perché allora fare tutta questa battaglia
ideologica su un provvedimento che ha effetti limitati, quando così facendo, si rischia
di rompere la coesione sociale? In questo momento, il Paese ha bisogno di coesione
sociale. Il mercato del lavoro va riformato, ci vuole flessibilità, però prima facciamo
la flessibilità in entrata, poi la flessibilità in uscita: se voglio aumentare la
flessibilità in uscita, prima devo aumentare o dare garanzie che si inciderà sulla
flessibilità in entrata. Allora, la flessibilità in uscita verrà accettata e verrà,
se non tollerata, almeno rispettata. (bi)