Grecia paralizzata dalle proteste contro le misure di austerità
La Grecia è paralizzata anche oggi dalle proteste contro le dure misure di austerità
che il Parlamento è chiamato, in tarda serata, ad approvare per ricevere gli aiuti
internazionali ed evitare la bancarotta. In un drammatico intervento ieri sera in
tv, il premier greco Papademos ha cercato di spiegare ai cittadini la necessità delle
misure anticrisi: se non passeranno – ha detto – sarà la catastrofe, non si potranno
più importare generi di prima necessità né pagare il funzionamento di ospedali e scuole,
pensioni e medicine. Sulla situazione del Paese ellenico Fausta Speranza ha
sentito il prof. Paolo Guerrieri, docente di Economia internazionale
all’università La Sapienza di Roma:
R. – La Grecia
è già in default: non sta pagando i suoi debiti, ma li sta ripagando con i soldi,
con le risorse finanziarie che gli mette a disposizione l’Europa. Nel pacchetto di
salvataggio è previsto un vero e proprio default, ma – come dire – “ordinato”, in
qualche modo programmato, secondo il quale i creditori privati rinunceranno a più
della metà dei loro crediti e quindi, a questo punto, la Grecia usufruirà di uno sconto
sui propri debiti in scadenza di circa 100 miliardi di euro. Allora il problema non
è se la Grecia potrà evitare il default, perché il default c’è già: a questo punto
è un default gestito e quindi che non provoca effetti incontrollati. I possibili effetti
incontrollati si chiamano “derivati”: cioè quei titoli finanziari che hanno provocato
la crisi del 2008 e che non sono affatto diminuiti in questi anni. Nessuno sa quale
potrebbe essere l’effetto sui derivati - su questi mercati che sono diventanti enormi,
perché si sono gonfiati a dismisura - e nessuno sa quale effetto a catena potrebbe
provocare un default della Grecia non controllato, – come dire – dettato da una disperazione
di non poter pagare.
D. – Professor Guerrieri, a un certo punto si è anche
parlato di un’uscita della Grecia dall’euro e un suo ritorno alla dracma, quasi come
se potesse essere indolore. Ma potrebbe davvero succedere questo?
R. – Questo
è assolutamente fuori da ogni buon senso dal punto di vista economico: non c’è nessuna
possibilità di uscire dall’area dell’euro – come si dice – non pagando dei costi o
pagando dei costi che potrebbero essere compensati. Sarebbe in realtà un problema
gigantesco dal punto di vista economico per il Paese che esce ma anche per i Paesi
e per il gruppo dell’area dell’euro.
D. – Parliamo di Italia: l’Italia – diciamo
così – ha fatto bene i compiti a casa e, a questo punto, rappresenta anche un elemento
di forza all’interno dell’Unione Europea. Monti si è presentato a Washington, ma a
questa visita – dal punto di vista strettamente economico – in poche parole che valore
dare?
R. – Ha naturalmente una serie di effetti importanti e, in qualche modo,
è stato un incontro molto positivo. Questa dimostrazione che in uno spazio di tempo
brevissimo, perché parliamo di qualche mese, l’Italia ha riacquistato una sua credibilità
a livello internazionale ed è ridiventato un grande interlocutore dei grandi attori
- e naturalmente gli Stati Uniti è il primo tra questi – che animano la scena internazionale.
Lo è ridiventato perché non dimentichiamo che lo siamo stati per anni. Quindi il dato
positivo è constatare che c’è un grande apprezzamento di quello che stiamo facendo
e abbiamo fatto. Tuttavia, proprio l’incontro con il presidente Obama ha messo in
luce le preoccupazioni degli Stati Uniti, ma anche le nostre, sulla strategia che
si sta applicando di politica economica in Europa. Questa strategia potrebbe essere
troppo dominata da politiche di austerità fini a loro stesse, quindi – come dire –
una austerità a tutto tondo. Non che non sia necessaria in alcuni Paesi, ma sarebbe
da mitigare con altri che, invece, seguano politiche in qualche modo più accomodanti.
Questa preoccupazione del presidente Obama si è riflessa naturalmente anche nelle
considerazioni che facciamo noi come Paese e, quindi, è emerso con forza il fatto
che gli Stati Uniti ci stanno seguendo e ci seguono molto da vicino. Addirittura le
possibilità di rielezione del presidente Obama, e quindi i risultati delle elezioni
presidenziali di novembre, sono in qualche modo collegate a quello che farà l’Europa
e in particolare a quello che farà l’area dell’euro. Gli Stati Uniti sono in una ripresa
che si sta consolidando, ma che è ancora molto fragile: se questa ripresa si consoliderà,
le probabilità di rielezione di Obama cresceranno fortemente; se questa ripresa dovesse,
in qualche modo, inclinarsi o addirittura frenare – come è giù avvenuto lo scorso
anno e l’anno prima – le possibilità di rielezione di Obama precipiterebbero rapidamente.
L’area dell’euro potrebbe quindi condizionare nell’uno o nell’altro caso. (mg)