La visita di Monti negli Usa. Il commento dell’economista Zamagni
Ha avuto vasta eco la visita del presidente del Consiglio italiano Mario Monti negli
Stati Uniti dove ha ottenuto la fiducia del presidente Obama. Ieri il premier italiano
ha incontrato a Wall Street gli investitori americani. Penso di averli convinti a
puntare di nuovo sull’Italia, c’è molto interesse per il nostro Paese, dice in sintesi
Monti. Per un commento sul valore di questa visita negli Usa, Debora Donnini
ha sentito il prof. Stefano Zamagni, docente di economia all’Università di
Bologna:
R. – L’importanza
è notevole e il successo pure è notevole, quasi inaspettato. Quindi nulla da dire
sull’operazione in sé, che è servita e che servirà ancora più nel prossimo futuro
a portarci fuori dalle secche. Al tempo stesso, però, una riflessione pacata e responsabile
di quanto sta avvenendo ed è avvenuto ieri e ieri l'altro negli Stati Uniti deve obbligarci
a due considerazioni, che rappresentano altrettanti rischi se prontamente non vengono
fronteggiati con altre misure. Il primo rischio è quello della cosiddetta depoliticizzazione:
cioè a dire che si diffonde il convincimento tra gli italiani, secondo cui è meglio
avere governi tecnici formati da persone oneste ed esperte piuttosto che governi che
sono il risultato di una competizione politica ad opera dei partiti. Perché questo
è pericoloso? Perché un atteggiamento del genere porterebbe alla graduale “eutanasia”
della democrazia. Il secondo rischio da cui dobbiamo guardarci, e che per certi aspetti
è ancora più insidioso, è che si diffonda – anche qui – l’idea seconda la quale l’agenda
politica viene definita dai mercati: i mercati lo vogliono, i mercati lo esigono…
Questo è molto grave! Perché la politica deve andare a rimorchio dell’economia e in
particolare della finanza? Il giorno in cui questo atteggiamento diventasse la norma
– ora non siamo nella norma, perché siamo in una situazione emergenziale – quale sarebbe
l’implicazione? Quella che è descritta molto bene nella “Caritas in veritate” di Benedetto
XVI e cioè la perdita della libertà. L’economia deve essere, insieme ad altri fattori,
al servizio del bene comune: ma il momento della sintesi lo deve fare la politica,
con la “P” maiuscola, come già Tommaso Moro ci ricordava. La finanza non è per sua
natura democratica: perché la finanzia internazionale è guidata da otto grandi banche
d’affari. Qui bisogna riconsiderare che cos’è il mercato. Il mercato vive con la concorrenza,
ma se abbiamo otto banche che guidano la danza a livello mondiale, dov’è la concorrenza?
Sono quelle otto banche che hanno oggi un potere smisurato...
D. – Monti, secondo
lei, con questa visita negli Stati Uniti e con questo incontro con il mondo della
finanzia, è riuscito a convincere sull’Italia: questo porterà dei giovamenti anche
pratici nella famosa questione dello spread, dei tassi di interesse?
R. – La
mia risposta è sì, ma questi vantaggi, – non dobbiamo illuderci – saranno vantaggi
di breve termine se le due condizioni di cui ho detto prima non saranno soddisfatte,
perché quando fra un anno e pochi mesi andremo alle elezioni e non sarà cambiato il
modo di fare politica è chiaro che gli stessi mercati e le stesse agenzie internazionali,
come oggi hanno riaperto il rubinetto della fiducia, saranno pronti a richiuderlo:
potrebbero avere una altra ragione per non fidarsi più degli italiani. Quindi sicuramente
nella prospettiva del breve termine, cioè del prossimo anno, l’effetto è positivo
e questo perché la credibilità di Monti è valsa ad ottenere all’Italia la fiducia:
la fiducia deriva dalla credibilità delle persone. Ci vuole la società civile in questo
momento in Italia ed ecco perché il movimento cattolico dovrebbe darsi molto più da
fare di quanto stia facendo, perché non è tanto il problema di fare un nuovo partito,
ma è quello di diffondere un approccio culturale – in primo luogo – e sociale che
vada contro la cosiddetta “private politics”, cioè quel modo di concepire la politica
che la riduce a poche oligarchie che decidono per gli altri. (mg)