Il decreto 'svuotacarceri' passa al Senato. L'opinione del cappellano di San Vittore
La Camera dei Deputati ha votato la fiducia al governo sul cosiddetto decreto 'svuotacarceri’.
Un provvedimento che dovrà essere confermato al Senato e che stabilisce misure di
contrasto al sovraffollamento delle prigioni italiane: esteso l’uso delle celle di
sicurezza di caserme e questure, ridotto il tempo per la convalida dell'arresto, 57
milioni per l'edilizia carceraria, chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari
entro il marzo 2013. Ma soprattutto la possibilità di scontare gli ultimi 18 mesi
di pena agli arresti domiciliari. Una norma che dovrebbe far uscire circa 3.500 detenuti
dagli stracolmi istituti di pena italiani. “Non è una resa della Stato”, spiega il
guardasigilli, ma il voto ha raccolto meno consenso del previsto. Quali potrebbero
essere le criticità? Massimo Pittarello lo ha chiesto al cappellano del carcere
di San Vittore di Milano , Don Pietro Raimondi:
R. – Il
problema è che la soluzione può essere anche buona, ma ci vuole un domicilio per andare
ai domiciliari: è un cane che si morde la coda. Di per sé i domiciliari sono adatti
a chi ha un domicilio, a chi è in regola con i documenti, a chi ha qualcuno che lo
accudisce; e non basta avere un domicilio, ci vogliono dei familiari, perché è più
difficile concedere gli arresti domiciliari a chi vive solo. Ti devono, infatti, dare
un permesso giornaliero per uscire a comperare qualcosa da mangiare e se uno esce
dalla porta del proprio appartamento commette un’evasione. Non so, quindi, effettivamente,
quanti ne potranno usufruire. Certo, è un passo importante e forse è tutto quello
che possono fare adesso, nell’immediato.
D. – Quali sono state le reazioni
dei detenuti alla notizia del cosiddetto decreto "svuotacarceri"?
R. – C’è
grande aspettativa da sempre, da chi chiede amnistia... Comunque qualcosa si aspettano.
Poi dipende da quello che possono capire, dal telegiornale: il 65 per cento, infatti,
sono stranieri. E’ difficile, dunque, anche capire la notizia. Al telegiornale si
parla molto velocemente, si parla in modo concitato, e si danno le notizie una dopo
l’altra. Non so... Penso ci sia grande attesa. E poi spero che non ci siano delusioni
per i poveretti che non possono usufruire di queste misure.
D. – Qualcuno ha
detto che ad uscire dal carcere saranno solo i soggetti più pericolosi...
R.
– Mi viene da sorridere. Molte persone sono dentro per furti, piccoli furti, tentativi
di furto di cibo nei supermercati. Sono cose che certo vanno punite, ma magari non
con la “gabbia”, piuttosto con altri metodi riparatori. Sarebbe bello che al fianco
di questi decreti dovuti all’emergenza, allo scoppiare delle carceri e così via, si
desse ascolto a tutto quel mondo della giustizia, dell’intellighenzia della giustizia,
a tutti i professori di diritto, che stanno studiando da anni che cosa vuol dire punire,
che cosa vuol dire correggere un crimine. C’è, dunque, tutta la parte del pensiero:
cosa significa punire e punire per correggere, non per togliere dalla strada la persona
che mi dà fastidio, altrimenti sarebbe come il principio del nascondere la polvere
sotto al tappeto. (ap)