Rischio di guerra tra Sudan e Sud Sudan per la gestione del petrolio. Schierate le
truppe lungo il confine
Ancora tensioni tra Sudan e Sud Sudan. Al centro della crisi la gestione del petrolio,
che dal meridione passa attraverso il territorio di Karthoum. I due Paesi hanno annunciato
di aver schierato truppe lungo il confine. In particolare un appello per la regione
contesa dei Monti Nuba è stato lanciato dal vescovo di El Obeid, mons. Macram Max
Gassis. Il presule parla drammaticamente di strage dimenticata, Sul rischio che si
arrivi ad un conflitto armato più generale, Giancarlo La Vella ha intervistato
Giovanni Sartor della Campagna Italiana per il Sudan:
R. – Da un certo
punto di vista, un confronto armato è già in corso. In realtà, si tratta di una serie
di conflitti, a bassa intensità, che si stanno svolgendo nelle zone di confine. Che
si arrivi ad un conflitto armato ufficiale tra due eserciti, però è un’ipotesi abbastanza
improbabile - anche se chiaramente ci sono dei segnali in questo senso -, perché in
questo momento non converrebbe a nessuno dei due Stati attivarsi in una campagna bellica
che coinvolgerebbe, in maniera complessiva, i mezzi finanziari dei due Paesi. E’ più
probabile, invece, un’escalation di conflitti nelle aree contestate o delle scaramucce
su determinati problemi, più che un conflitto armato su larga scala tra i due Paesi.
D.
– Per quale motivo le tensioni tra Karthoum e il Sud, nonostante l’indipendenza sia
arrivata con il beneplacito del Sudan, non si sono mai sopite?
R. – Perché
ci sono degli interessi differenti sul campo, riguardanti questioni che non sono state
risolte nel momento dell’indipendenza. Primo fra tutti, perché ha un impatto economico
significativo in entrambi i Paesi, il discorso del petrolio. L’altro grosso problema,
invece, è quello dei confini: ci sono alcune zone del Paese che non è chiaro se appartengano
al Sudan o al Sud Sudan. Il terzo problema è legato alle aree contese. Si tratta di
tre regioni, che sono l’Abyei, il Kordofan del Sud, più conosciuto come la zona dei
Monti Nuba, e lo Stato del Nilo Azzurro. Tutti e tre hanno combattuto al fianco del
Sud Sudan la guerra ventennale contro il governo di Khartoum. Due di queste sono ora
ufficialmente del Nord Sudan, mentre la terza, l’Abyei, non ha ancora definito il
suo status e resta un po’ in bilico tra i due Paesi.
D. – Questa situazione
sta mettendo in crisi i programmi umanitari internazionali, partiti già ai tempi in
cui il Sudan era unito?
R. – Di sicuro questa situazione, in realtà, sta creando
soprattutto nuovi profughi e nuovi rifugiati, che fuggono sia verso il Sud e sia verso
l’Etiopia. Nelle zone in cui sono in corso questi conflitti a bassa intensità – e
non va dimenticato il Darfur, che si trova comunque ancora in una situazione di conflitto
– è chiaro che gli interventi umanitari sono largamente limitati, nel senso che è
diventato difficile anche solo intervenire a livello umanitario. E questo avviene
soprattutto nel Sudan, perché alle agenzie umanitarie non vengono date molte possibilità
di intervento nel soccorso dei profughi e delle persone che fuggono dalle zone di
conflitto. Al Sud, invece, la situazione è leggermente migliore, almeno dal punto
di vista dell’accesso, però resta chiaramente la difficoltà legata al fatto che, nelle
zone in cui si sta combattendo, diventa difficile fornire aiuto alla popolazione civile.
(vv)