Africa: l'Onu in prima linea per l’integrazione dei rifugiati angolani, liberiani
e rwandesi
Rimpatrio volontario su larga scala - accompagnato da kit di assistenza che aiuteranno
i rifugiati di ritorno a reintegrarsi - o uno status giuridico alternativo che consenta
loro di continuare a risiedere nei paesi d’asilo. Sono le misure messe in campo dall’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite (Unhcr) mirate a mettere fine a tre annose situazioni
dell’Africa: quelle che riguardano i rifugiati angolani, liberiani e ruandesi. L’agenzia
dell’Onu spiega in una nota diffusa alla stampa che dopo decenni trascorsi in esilio,
molti rifugiati angolani, liberiani e ruandesi hanno stabilito forti legami con le
comunità che li hanno accolti, anche attraverso il matrimonio. L’Unhcr auspica quindi
che i Paesi d’asilo convertano lo status dei rifugiati in permessi di soggiorno che
contemplino in ultima istanza anche la cittadinanza, laddove le legislazioni nazionali
lo consentano. In Africa occidentale ad esempio i liberiani possono ottenere permessi
di soggiorno e lavoro che permettono loro di restare nel Paese d’asilo in quanto cittadini
dell’Ecowas, la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale. Le clausole
di cessazione trovano fondamento nella Convenzione sui rifugiati del 1951 e nella
Convenzione dell’Organizzazione dell’Unità Africana del 1969. Tali strumenti consentono
la cessazione dello status di rifugiato una volta che nel Paese d’origine abbiano
avuto luogo cambiamenti fondamentali e duraturi, e che non sussistano più le cause
che hanno indotto le persone a fuggire. È questo il caso di tutti e tre i paesi d’origine
in questione. L’UNHCR raccomanda che la cessazione si applichi ai rifugiati angolani
che sono fuggiti dal proprio Paese in conseguenza dei conflitti tra il 1961 e il 2002;
per i rifugiati liberiani fuggiti dalla guerra civile dal 1989 al 2003 e per i rifugiati
ruandesi fuggiti tra il 1959 e il 1998. L’applicazione della cessazione da parte degli
Stati non implica che tutti i rifugiati angolani, liberiani e ruandesi perdano automaticamente
il loro status di rifugiato o che i Paesi d’origine non possano più originare rifugiati.
La cessazione non si applicherà ai rifugiati che hanno ancora un fondato timore di
persecuzione, né ai rifugiati che hanno convincenti ragioni per non voler tornare
a casa a causa di una passata persecuzione. L’Unhcr sta lavorando a stretto contatto
con i governi interessati per tutelare il diritto d’asilo in tali casi, anche parallelamente
all’implementazione delle strategie. Le clausole di cessazione non si applicherebbero
poi ad alcun rifugiato angolano, liberiano e ruandese la cui domanda d’asilo sia ancora
in attesa di essere esaminata. Inoltre l’Unhcr rivolge un appello ai governi affinché
decidano in maniera appropriata in merito a tutte le nuove domande d’asilo presentate
da angolani, liberiani e ruandesi - o a quelle in sospeso - indipendentemente da quando
sia stata istruita la pratica. (M.G.)