Studio dell'Ue rivela: il 40% dei giovani europei naviga a "rischio" web. Il filtro
migliore è dialogare con i genitori
All’indomani della Giornata europea sulla sicurezza in Rete, spunti di riflessione
arrivano dallo studio “Eu Kids online”, finanziato dalla Commissione europea e coordinato
dalla "London School of Economics and Political Science". L’indagine documenta il
rapporto con Internet di oltre 25 mila ragazzi, tra i 9 e i 16 anni, in 25 Paesi.
Tante le opportunità e tanti i rischi. Roberta Gisotti ha intervistato Giovanna
Mascheroni, ricercatrice dell’Osservatorio della Comunicazione (OssCom) dell’Università
Cattolica, referente per l’Italia del progetto:
R. – Il Rapporto
mette in luce come l’esposizione ai rischi, sia un’esperienza abbastanza diffusa fra
i giovani europei. Riguarda infatti il 41% dei ragazzi europei e il 34% dei ragazzi
italiani. I rischi più diffusi riguardano contenuti generati da altri utenti, che
incitano alla violenza e al razzismo, piuttosto che a comportamenti autolesionistici
come l’anoressia. Seguono poi i rischi di carattere sessuale: da un lato contenuti
pornografici, dall’altro il sexting, ovvero lo scambio di messaggi a contenuto sessualmente
esplicito fra coetanei. E infine, meno diffusi, troviamo dei rischi che sono però
più pericolosi, come il bullismo, che nei due terzi dei casi è un’esperienza percepita
molto o abbastanza negativamente dai ragazzi, perché li fa soffrire.
D. – Riguardo
all’Italia, come si rapportano i ragazzi alla rete, ma anche i genitori, le famiglie
e lo Stato, poiché la formazione e la tutela dei giovani è nella stessa Costituzione
della Repubblica..
R. – C’è una marcata privatizzazione nell’accesso alla rete.
Rispetto alla media europea del 49%, in Italia il 62% dei ragazzi accede a Internet
nella propria cameretta, da solo e senza la supervisione di un adulto. Senza tener
conto, poi, della crescita dell’accesso alla rete da telefoni cellulari, smartphone
innanzi tutto, ma anche dalle consolle per giochi e via dicendo, che rendono più difficile
il compito di supervisione da parte dei genitori. In Italia si tende, molto spesso,
a imporre delle regole, limitando ad esempio il tempo di utilizzo della rete, oppure
inibendo alcune attività come la condivisione di foto e video, o soprattutto, nell’87%
dei casi, la condivisione di informazioni personali on line. I genitori spiegano
ai ragazzi e proibiscono ai ragazzi di fornire troppe informazioni personali, come
il numero di telefono, il numero di casa, ecc.. Ma nonostante il 69% dei genitori
italiani affermi di parlare con i propri figli riguardo ciò che fanno on line,
molto spesso sono proprio i genitori a essere inconsapevoli di quello che succede.
D.
– Si è celebrata ieri la Giornata europea della sicurezza in rete: che tipo di impatto
ha avuto? Queste iniziative servono davvero a sensibilizzare l’opinione pubblica,
o c’è bisogno di altro?
R. – Il “Safer Intenet Day” è giunto alla sua nona
edizione. In Italia, ha avuto un significato particolare, perché in questa occasione
è stato lanciato il Comitato consultivo del Centro giovani on line, che riunisce
una serie stakeholder – soggetti interessati provenienti dal mondo dell’industria,
dal mondo della ricerca accademica, dalle ong ed altre istituzioni – per sensibilizzare
con un impatto maggiore su questi temi, dal momento che finora il nostro Paese è stato
caratterizzato da una certa frammentarietà degli interventi.
D. – È importante
che ci sia anche una promozione da parte dei media, della scuola, del Ministero dell’istruzione...
R.
– Assolutamente. Il ruolo dei media è fondamentale, perché i genitori italiani dichiarano
di informarsi sulla navigazione sicura e responsabile, principalmente da amici e conoscenti,
e in secondo luogo dai media. Questo si riflette anche nella loro percezione dei rischi
della rete: sono più portati a sovrastimare alcuni tipi di rischi, quelli che sono
più presenti nell’agenda dei media, e a sottostimarne altri. Ad esempio, sono più
sensibili ai rischi di carattere sessuale, legati ad esempio, alla pornografia o all’adescamento,
ma sono meno consapevoli del bullismo, l’esperienza che più fa soffrire i loro figli.
D.
– Sul tema dei filtri che cosa ha documentato la ricerca?
R. – Rispetto all’uso
dei "parental control", che permettono di filtrare alcuni contenuti o di tenere traccia
dei percorsi di navigazione dei figli, i genitori italiani hanno poca familiarità
con questi strumenti. Solo il 21% dichiara di averli sperimentati, e questo da un
lato si spiega con la scarsa alfabetizzazione tecnologica, dall’altro forse anche
con una incomprensione dello scopo di questi strumenti che non vengono pensati come
alternativa e sostituto del dialogo. É uno strumento in più per promuovere la sicurezza,
sapendo però che la prassi più efficace per rendere i nostri figli responsabili e
consapevoli, nel momento in cui utilizzano Internet, è proprio il dialogo, è proprio
parlare con loro, fare cose on line con loro e condividere le loro esperienze
in famiglia. (bi)