2012-02-08 07:49:58

La Russia assicura che la Siria annuncerà riforme costituzionali. Continua la violenza


Non si ferma la violenza in Siria contro gli oppositori del regime. Oltre 130 le vittime nelle ultime 36 ore. L’Unicef Denuncia la morte di almeno 400 bambini dall’inizio della rivolta, a marzo, altrettanti sarebbero in carcere. In questo scenario il presidente siriano Bashar al Assad incontrando a Damasco il ministro degli esteri russo Lavrov ha ribadito che il Paese coopererà compiendo qualunque sforzo per risolvere la crisi e promuovere la stabilità. Lavrov ha confermato che presto sarà annunciata la data del referendum sulle riforme costituzionali. Marina Calculli RealAudioMP3

Dopo il veto di Russia e Cina alla risoluzione dell’Onu e i tentativi di mediazione di Mosca, resta l'escalation di violenze. Fausta Speranza ha chiesto a Paolo Magri, direttore dell’Ispi, l'Istituto studi politici internazionali, che cosa può fare di più la comunità internazionale: RealAudioMP3

R. – La comunità internazionale può continuare a fare pressioni, come è stato detto, per mantenere la proposta di risoluzione in sede Onu e sperare in un ammorbidimento della posizione russa e cinese. Può operare con sanzioni bilaterali, cioè rafforzare le sanzioni che già Unione Europea e Stati Uniti hanno in corso, l’embargo petrolifero, potrebbero introdurre un embargo sulle armi – che però ha poco valore se la Russia ne è fuori e continua a fornire armi – o può creare un gruppo di contatto, come è stato proposto da Hillary Clinton, cioè un gruppo di pressione esterno che sostenga politicamente, e magari non solo politicamente, i ribelli.

D. – Tutto questo però di fronte ad un bagno di sangue in atto in Siria: si parla di 400 bambini uccisi da marzo e, oltre tutto, di 400 bambini che sono attualmente nelle carceri...

R. – Questa è la responsabilità che la comunità internazionale sente, e questo è anche un tema che nel medio termine anche russi e cinesi non potranno dimenticare. La Russia, in particolare, ha una rapporto forte con la Siria. Entrambi i Paesi, Russia e Cina, sostengono la difesa della sovranità nazionale, ma hanno interessi altrettanto forti con gli altri Paesi della "primavera araba", e quindi a lungo andare non avranno nessun interesse a trovarsi isolati nella difesa di un unico leader con tutto il resto della Lega araba e degli altri Paesi con i quali hanno rapporti commerciali e politici importanti chiamati al banco degli imputati.

D. – Come sono cambiati gli equilibri di quell’area, dopo la primavera araba, in particolare appunto all’interno della Lega araba?

R. – Sicuramente, l’indebolimento dell’Egitto ha creato un vuoto di potere. L’Egitto è sempre stato un Paese predominante all’interno della Lega araba, e ciò si è visto. C’è un dinamismo dell’Emiro del Qatar e delle monarchie del Golfo in generale - Qatar ed Arabia Saudita in primis - molto forte. Chiaramente, è in atto una ridefinizione dei poteri e certo le monarchie del Golfo stanno giocando un ruolo molto importante. Lo si vede dagli aiuti che hanno dato ai ribelli nei vari Paesi – e il sostegno ai Fratelli Musulmani e ai loro partiti nei vari Paesi – e dagli aiuti economici molto forti, più forti di quelli che sta dando l’Occidente.

D. – A che gioco sta giocando la Siria? Perché la repressione continua, non accenna a diminuire...

R. – È un gioco disperato: l’élite alawita che unisce nel governo del Paese interessi militari, politici ed economici, stabilisce che non ha altra alternativa per mantenere il suo potere che la resistenza più strenua e attaccandosi al potere come abbiamo visto fare da Gheddafi, e dal suo clan, durante le tristi vicende libiche. Quindi, è una resistenza durissima. Gli osservatori lo hanno sempre detto: si tratta di un’élite di governo e di potere molto forte, che difenderà fino all’ultimo i propri privilegi perché sa benissimo, che un cambio di governo significherebbe essere spazzati dalla storia siriana.

D. – E la via di uscita che offriva le Lega araba, non era abbastanza?

R. - La via di uscita che offriva le Lega araba era un primo passo per una trasformazione del potere, “un regime change” moderato e gestito con tempi più soft, ma che a quanto pare, non è stato ritenuto accettabile da chi governa il Paese in questo momento. (bi)







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