Medio Oriente: accordo Fatah-Hamas per Abu Mazen alla guida del governo ad interim
Medio Oriente. In vista delle elezioni generali, si compatta il fronte palestinese.
Accordo tra al-Fatah e Hamas per la nomina dell'attuale presidente dell'Autorità Nazionale
Palestinese, il moderato Abu Mazen, alla guida del governo tecnico ad interim, che
dovrà sovrintendere ai preparativi per le consultazioni e che sarà annunciato il
18 febbraio prossimo. Ma come si è giunti a quest’intesa? Giancarlo La Vella
lo ha chiesto a Eric Salerno, inviato speciale ed esperto di Medio Oriente
del Messaggero:
R. – Hamas si
trova in difficoltà in questo momento: quello che sta succedendo in Siria e la possibilità
di un conflitto con l’Iran ha isolato molto il movimento fondamentalista, che si trova
senza i suoi sostenitori. Questo accordo ha consentito ad Abu Mazen di guadagnare
credibilità e, logicamente, di ottenere la cosa che aveva chiesto, cioè di poter continuare
a guidare il Consiglio palestinese fino alle elezioni. ma bisogna anche dire che gli
americani, ma anche gli israeliani, non accetterebbero mai di avere a che fare, in
questa fase, con un leader di Hamas, a capo di tutta l’organizzazione palestinese.
D. – Un leader come Abu Mazen avrebbe buon gioco in un’eventuale ripresa dei
negoziati diretti con lo Stato ebraico?
R. – Io credo che sia un momento difficile
per parlare di ripresa dei negoziati. Si sa cosa vogliono gli uni e che cosa vogliono
gli altri: ma per adesso Israele ha detto “no” alle richieste palestinesi, soprattutto
a quella di bloccare la costruzione degli insediamenti. Anche il premier Netanyahu
sta giocando una partita difficile: si parla di possibili elezioni anticipate, e quindi
vorrebbe rafforzarsi politicamente. Non si capisce, quindi, se ci potranno essere
passi avanti nei negoziati, prima che vengano chiarite altre cose: soprattutto se
Israele intende o meno attaccare l’Iran, per mettere in difficoltà Teheran rispetto
al suo progetto nucleare.
D. – Hai fatto cenno alla Siria, all’Iran: si ha
l’impressione che la crisi mediorientale sia diventata una questione con molte più
variabili rispetto solo a qualche mese fa. Questo potrebbe favorire una soluzione
oppure potrebbe rendere ancora più difficile, invece, il percorso verso il dialogo?
R.
– Storicamente i palestinesi hanno sempre pagato il prezzo degli altri conflitti in
Medio Oriente: Assad non è mai stato un grande sostenitore dei palestinesi; gli altri
Paesi arabi hanno appoggiato, almeno politicamente e ideologicamente, la lotta dei
palestinesi, ma hanno poi fatto ben poco per aiutarli concretamente nella loro lotta
per avere uno Stato indipendente. Per cui, in questo momento, direi che hanno altre
cose a cui pensare. Non vedo un sostegno concreto ai palestinesi. Quello che potrebbe
succedere è che per motivi tattici interni – così com’è sempre stato – i Paesi arabi
decidano che, invece, devono utilizzare la “carta palestinese” nei loro negoziati
con i Paesi esterni, con l’Europa e con gli Stati Uniti soprattutto. Come vediamo,
in questo momento l’Egitto è in difficoltà nei suoi rapporti con gli Stati Uniti.
Questo è un segnale molto importante dei cambiamenti che teoricamente possono avvenire
in tutto lo scacchiere. (mg)