Ripetuti episodi di violenza contro religiosi nel Continente americano
In questi ultimi giorni le cronache dal Continente americano sono state caratterizzate
da una serie di episodi di violenza contro sacerdoti e missionari cristiani. In Guatemala
è stato ucciso barbaramente un anziano sacerdote solo perché aveva provocato un banale
incidente automobilistico, un lieve tamponamento. In Messico, durante un furto in
una chiesa, è stato assassinato un altro sacerdote: aveva 65 anni. Infine, sempre
in Messico, sono stati uccisi due missionari battisti statunitensi. Su queste aggressioni
Sergio Centofanti ha intervistato Luis Badilla, esperto di questioni
latinoamericane:
R. – Le aggressioni contro due sacerdoti cattolici, che
sono stati uccisi in circostanze diverse, e poi contro due missionari statunitensi
di una Chiesa battista, sono un fatto particolare, nel senso che da molto tempo non
accadeva che ci fossero aggressioni di questo tipo, a breve distanza di tempo contro
personale religioso. Però, la cosa fondamentale da dire è che si tratta di attacchi
o di aggressioni omicide in un contesto di violenza molto grave che caratterizza le
società messicana e guatemalteca – ma anche altre società del Centro America – e che
a tutt’oggi non si comprende come possa essere risolto in una prospettiva di pace,
di riconciliazione o di normalità “cittadina”.
D. – Quale è stata la
reazione delle Chiese locali?
R. – Sia la Chiesa del Guatemala, sia
quella del Messico, e poi la comunità battista nel Texas, negli Stati Uniti, in momenti
diversi hanno fatto dichiarazioni molto rilevanti perché coincidono sostanzialmente
nelle parole e nelle riflessioni. Il problema dell’America Centrale è che è schiacciata
tra due violenze: quella che viene dal Nord e che si traduce soprattutto in un traffico
d’armi clandestino verso il Messico, il Guatemala e il Centro America; e quell’altra
violenza, quella che viene dal Sud, che è quella del narcotraffico e che ha creato
– come l’hanno definita in questi giorni alcuni giornalisti – questa sorta di “corridoio
della morte” o “corridoio della violenza”. Questi tre interventi dicono che la violenza
finirà soltanto educando i nostri figli, fin da piccoli, a rispettare la vita, a capire
quanto sia sacro il valore della vita. Perché alla fine, quello che è in gioco, quello
che sta succedendo, è che in questa regione del continente americano, purtroppo, la
vita ha perso ogni valore. Vale qualsiasi cosa, purché possa essere uno strumento
per raggiungere altri scopi, in particolare – e soprattutto – quelli della manovalanza
del narcotraffico.
D. – A marzo il Papa sarà in Messico e a Cuba. Come
potrà aiutare a risolvere questa situazione, questo viaggio apostolico?
R.
– Già lo stanno dicendo, in Messico: la stampa locale, i leader religiosi, anche i
leader politici. La presenza del Papa in Messico, soprattutto, in questo senso sarà
fondamentale. Certamente lui non andrà a fare nessuna richiesta di tregua nel narcotraffico,
come si è scritto. Ma andrà soprattutto a difendere il valore supremo della vita,
a promuovere, a consolidare la cultura della vita e, in particolare, a insegnare come
questa cultura e questo valore della vita si possa far crescere nel cuore delle persone,
in particolare dei più piccoli e dei più giovani, che sono il futuro di questo Paese
e della regione. (gf)