Egitto. Tre giorni di lutto nazionale per gli scontri di Port Said: oltre 70 i morti
Terremoto politico in Egitto dopo la strage avvenuta ieri allo stadio di Port Said
dove sono morte 74 persone in seguito a scontri tra tifoserie di calcio contrapposte.
Chieste le dimissioni del premier e del ministro dell'Interno. La procura di Port
Said ha ordinato l'arresto per il governatore e per il capo della sicurezza locali.
Migliaia di tifosi della squadra egiziana Al-Ahly hanno marciato per le strade del
Cairo per chiedere "giustizia". Durante la manifestazione ci sono stati scontri con
le forze dell'ordine che hanno utilizzato gas lacrimogeni. Intanto il Parlamento
ha aperto un’inchiesta sollecitata anche dall’Unione europea. Il Supremo Consiglio
delle Forze Armate, al potere, ha proclamato tre giorni di lutto nazionale, mentre
i Fratelli musulmani accusano i sostenitori dell'ex presidente Mubarak ''di aver pianificato
le violenze''. Il timore che non si trattasse di un caso isolato è arrivato quando
è rimbalzata la notizia di un incendio scoppiato nello stadio del Cairo, dove si svolgeva
un’altra partita, subito però è stato chiaro che si trattava di guasto ad una cabina
elettrica. Il presidente della Fifa Blatter ha parlato di “giornata nera per il calcio”
e la Federazione di calcio egiziana ha sospeso a tempo indeterminato tutte le partite
di serie A. Massimiliano Menichetti ha chiesto a Giuseppe Iacovino,
analista del Centro studi internazionali, se le violenze di Port Said sono collegate
alle contestazioni politiche di questi giorni in Piazza Tahrir, luogo simbolo della
rivolta egiziana:
R. – E’ improbabile
al momento pensare a una pianificazione o comunque qualcosa di collegato alla situazione
di tensione e di scontri al Cairo e quindi a Piazza Tahrir.
D. – Quindi, secondo
lei, tutto è riconducibile alla recente cessazione dello stato d’emergenza e quindi
al fatto che l’esercito non è più presente sul territorio?
R. – L’apparato
di sicurezza egiziano ne ha risentito, questo ha provocato anche una minore capacità
di gestire tensioni e quindi gli scontri. Purtroppo la stragrande maggioranza delle
vittime di Port Said è stata causata dalla reazione della massa, dalla calca, quindi
anche dalla scarsa capacità della stessa polizia nel gestire l'ordine pubblico. Dunque
per le informazioni che abbiamo ora, quanto accaduto ha poco a che fare con le tensioni
politiche.
D. – Al Cairo si sono ritrovati i sostenitori della squadra el Ahly
coinvolta negli scontri, transennato anche il piazzale davanti alla televisione pubblica.
Questi eventi si inseriscono all’interno di contestazioni che ancora ci sono al Cairo…
R.
– La situazione al Cairo, anche nei giorni scorsi, è di grande tensione. Ci sono stati
scontri davanti al parlamento tra manifestanti della società civile più liberale e
rappresentanti giovani della fratellanza musulmana. Al di là di queste vicende calcistiche,
che in questo momento possono anche essere anche considerate marginali, la tensione
è legata all’andamento, alla transizione politica nel post-Mubarak soprattutto all’indomani
delle elezioni e della vittoria della fratellanza musulmana.
D. – Qual è il
ruolo in questo momento dei Fratelli Musulmani?
R. – Quello di ponte tra le
autorità militari, che di fatto ancora gestiscono il potere, e la popolazione. Gli
stessi scontri con gli attivisti più liberali dimostrano come la fratellanza in questo
momento ha stretto un accordo tacito con le autorità militari affinché la transizione
sia guidata nel panorama politico egiziano.
D. – C’è chi guarda ai Fratelli
Musulmani con speranza di dialogo e chi con scetticismo…
R. – Senza la fratellanza
musulmana la realtà politica dell’Egitto è impensabile. Anche perché è la realtà più
presente. Pensare a un rapporto con la fratellanza musulmana è inevitabile. Le stesse
posizioni della fratellanza musulmana sono molto diverse rispetto alle posizioni
- sia dal punto di vista politico, sia dal punto di vista religioso - delle realtà
più salafite, più intransigenti. La fratellanza musulmana ha un doppio aspetto: è
una realtà nuova nell’ambito egiziano, ma è anche una realtà politica conservatrice
con cui bisogna dialogare inevitabilmente.
D. – Però i giovani di Piazza Tahrir
continuano a manifestare…
R. – Questo è soprattutto dovuto al fatto che le
realtà dei giovani, degli universitari che sono scesi per primi in piazza, non sono
riuscite ad avere un risultato politico rilevante, anche perché la loro organizzazione
e la loro presenza nella società egiziana, al di là della capitale è minima. Questo
si traduce in malessere, non essere riusciti a far sentire la propria voce nell’arena
politica, fa sì che le manifestazioni vadano avanti in cerca di un risultato migliore,
di visibilità. L’auspicio è che, con le elezioni e quindi con il nuovo parlamento
e le nuove riforme costituzionali, l’Egitto prenda la strada di una transizione il
più pacifica possibile, dove tutte le voci che hanno portato alla caduta di Mubarak
possano avere la possibilità di esprimere la propria opinione, per tornare ad una
stabilità, ad una vita sociale e politica che possa permettere al Paese di riprendere
il posto che gli si addice nel panorama sia mediorientale, sia internazionale. (bf)