Myanmar: chiese e parrocchie aprono le porte ai profughi Kachin
I profughi Kachin, che da mesi hanno abbandonato le loro case per il conflitto fra
esercito birmano e milizie ribelli, hanno "paura" di rientrare perché temono una nuova
ondata di violenze. A dispetto dei colloqui di pace fra rappresentati governativi
e leader militari del Kachin Indipendence Army (Kia), la tensione non accenna a diminuire
e per le decine di migliaia di sfollati - ospitati in strutture cristiane o case private
- il futuro resta ancora incerto. Intanto - riferisce l'agenzia AsiaNews - i capi
politici della minoranza etnica nel nord del Myanmar, nell'omonimo Stato al confine
con la Cina, precisano di non essere interessati a un "cessate il fuoco", ma vogliono
un "dialogo politico" formale con l'esecutivo guidato dal presidente Thein Sein. Il
riacutizzarsi della guerra nel giugno scorso - dopo 17 anni di relativa calma - mostra
secondo i leader Kachin che tutte le questioni più importanti, fra cui una "maggiore
autonomia" sono rimaste irrisolte. Padre Luke Kha Li, parroco della chiesa di San
Patrizio a Manwingyi (nel distretto di Bhamo), spiega a Ucan che le maggiori preoccupazioni
sono "il rifornimento di cibo" ai profughi e le modalità di rientro nei loro villaggi.
Nell'area ancora oggi quasi 500 profughi hanno trovato rifugio nei locali della parrocchia,
mentre altri 1200 circa sono ospitati in abitazioni private, con il sostegno attivo
di Karuna Banmaw Social Service (la Caritas locale). Da quando è riesploso il conflitto
fra esercito birmano e minoranza Kachin, nel giugno 2011, circa 60mila persone hanno
lasciato le loro case trovando rifugio in chiese, parrocchie e case private di cristiani,
che hanno aperto le porte per accogliere gli sfollati. Gli operatori umanitari hanno
lanciato un allarme, esprimendo "forti preoccupazioni" per le condizioni di salute
e igienico-sanitarie fra i profughi. (R.P.)