Partnership: il nuovo rapporto per lo sviluppo dell'Africa
Il rapporto tra l'Africa e governi euronordoccidentali, organizzazioni internazionali,
imprese multinazionali straniere e organizzazioni non governative è stato caratterizzato
da disuguaglianza ed emarginazione. Sin dall’epoca coloniale, il continente prende
ordini dalle capitali euronordoccidentali in cambio di aiuti condizionati e dell’appoggio
a regimi impopolari. Alcune delle condizioni spesso hanno dato agli stranieri l'opportunità
di sfruttare le risorse naturali dell'Africa e di influenzare la politica dei paesi,
di danneggiare il sistema ecologico e minare i valori della cultura africana. I padri
fondatori dell'Unione Africana hanno visto che questo tipo di relazione era dannoso
per il futuro del continente e hanno cercato di cambiarlo. Nel documento che stabilisce
l'istituzione della nuova partnership per lo sviluppo dell'Africa, NEPAD, in una sezione
sulla storia dell’impoverimento del continente, essi fanno notare che "per secoli
l’Africa è stata integrata nell'economia mondiale principalmente come fornitrice di
materie prime e manodopera a basso costo. Questo ha significato il prosciugamento
delle risorse dell'Africa piuttosto che il loro impiego per lo sviluppo del continente...
Pertanto, l’Africa rimane il continente più povero, pur essendo una delle regioni
più riccamente dotate del mondo.”Il NEPAD è stato integrato nell'agenda dell'Unione
Africana nel 2001, come programma per dare la visione politica d’insieme per accelerare
lo sviluppo del continente, e come stimolo per l’avvio di un nuovo rapporto basato
sul principio di uguaglianza. Nell'introduzione al documento istitutivo, i padri fondatori
hanno dichiarato che NEPAD "è una chiamata ad un nuovo rapporto di partnership tra
l'Africa e la comunità internazionale, soprattutto i paesi altamente industrializzati,
a superare il baratro di sviluppo che si è ampliato nel corso di secoli di rapporto
ineguale ".
Che cosa è questa Partnership e quale è il suo ruolo nello
sviluppo? La definizione semplice è che la partnership proposta dal
NEPAD è una relazione tra Africa e altre parti basata sulla fiducia, uguaglianza,
rispetto reciproco e comprensione, condivisione delle responsabilità, dei rischi,
delle risorse e dei talenti, per lo sviluppo di ogni paese del continente. La
partnership è necessaria per evitare che un paese sfrutti un altro e per evitare la
dipendenza, ma soprattutto perché lo sviluppo è un processo complesso che richiede
massicci investimenti e quindi difficile per un singolo paese da raggiungere da solo,
senza il contributo degli altri. La questione rimane, tuttavia, se la partnership
sia davvero possibile, data la storia del rapporto dell'Africa con altre parti del
mondo, specialmente con il mondo euronordoccidentale. Infatti, la relazione tra Europa
e Africa è molto antica e anche, per certi versi, molto speciale. Le coste del Nord
Africa e dell’Europa meridionale hanno interagito intimamente nella nascita della
moderna civiltà europea. Leopold Sedar Senghor parla, anche se in forma “romanticizzata”,
dell’unione ombelicale tra Africa ed Europa, proprio a sottolineare questa intimità
del rapporto. In seguito però, e molto meno felicemente, l’Europa ha coinvolto l’Africa
nel tragico e male assortito matrimonio tra il traffico di schiavi, il colonialismo
e l’apartheid, che ha gettato le fondamenta della moderna industrializzazione e del
benessere dell’Europa e degli Stati Uniti d’America. Da allora, tutto cambiò. Ma ecco
che al di là di questi tristi fatti storici, i leader africani sottolineano l’importanza
di capire che il doloroso processo della “Conquista” ha sancito definitivamente la
fine dell’era dei destini singoli e l’inizio di una nuova era per i popoli dell’Africa
e della stessa Europa, sebbene forse ciò sia avvenuto loro malgrado: “non abbiamo
avuto lo stesso passato ma avremo rigorosamente, da quel momento in poi, lo stesso
avvenire”, ha affermato agli inizi degli anni ’60 lo scrittore ed attivista senegalese
Cheikh Hamidou Kane. La partnership rilanciata nel NEPAD vuole essere lo stradario
culturale e politico più sicuro per la costruzione effettiva di questa nuova era delle
relazioni tra l’Africa e il mondo euronordoccidentale. Si sottolinea anzitutto, la
necessità dello scambio culturale nello spirito di partnership tra Africa e Europa.
La parola chiave, anche se non nuova, in questo documento del NEPAD è appunto “partnership”;
ed è anche fonte di ostacolo alla realizzazione del programma stesso, perché nessuna
definizione di partnership può eludere la nozione di uguaglianza. E l’uguaglianza
è, ancora oggi, una cosa che il mondo euronordoccidentale si dimostra incapace di
estendere agli altri, in particolare agli africani. Va da se che la partnership come
slogan della retorica politica è una questione diversa e viene sbandierata spesso.
Tuttavia i fatti passati e recenti - come ad esempio l’atteggiamento di totale disprezzo
del mondo euronordoccidentale nei confronti dell’Unione Africana per quanto riguarda
la gestione della crisi della Libia, un Paese membro dell’Unione Africana - è evocativo
del mancato riconoscimento della partnership nel contesto politico. È stato, infatti,
un classico atteggiamento, e che ricorda le parole del governatore britannico dell’antica
Rhodesia, che negli anni cinquanta ha descritto la partnership tra neri e bianchi
nel suo territorio come “il rapporto tra il cavallo e il suo cavaliere”. In effetti,
per secoli l’Europa ha scelto, nei confronti dell’Africa e degli africani, l’alternativa
animale, che automaticamente ha escluso la possibilità di un dialogo paritario:
“si può parlare a un cavallo, ma non ci si aspetta certo che ci risponda”. In questo
modo gli europei hanno sempre parlato, parlato e mai ascoltato, perché si immaginano
di parlare con un animale a sembianze umane ma privo comunque di favella. “L’integrazione
così ottenuta - dice Steve Biko - è una strada a senso unico dove i bianchi, e in
modo più generale il mondo euronordoccidentale, fanno tutti i discorsi, dettano le
regole e i neri, in particolare, e gli africani in generale, stanno a sentire”. Oggi
però il negro, l’africano parla. E la parola è la misura della sua umanità che rivendica
attraverso la richiesta della partnership e la fine della cooperazione allo sviluppo.
Alla nostra domanda quindi - se è possibile oggi, nonostante il caso Libia, una partnership
tra l’Africa e l’Europa e in maniera più generale tra l’Africa e il mondo eurnonordoccidentale
- la risposta è sì, se i paesi che hanno sfruttato ed emarginato Africa per decenni
sono disposti a cambiare politica e atteggiamento. Gli “aiuti condizionati” sono sempre
stati il mezzo attraverso il quale gli sfruttatori hanno ottenuto l'accesso alle risorse
dell'Africa. L’Africa non ha bisogno di aiuti condizionati, di cooperazione allo sviluppo.
Ha piuttosto bisogno di tecnologia e capacità per trasformare le sue ricchezze ed
ottimizzare le sue risorse umane e materiali per il bene del suo popolo. Ciò presuppone
che essa definisca il proprio sviluppo e il tipo di rapporto di lavoro che intende
avere con i suoi partner, soprattutto quelli che si dimostrano pronti a rispettare
i suoi valori. Purtroppo, episodi recenti, oltre al caso Libia già evocato, hanno
dimostrato che alcuni paesi sono ancora determinati a trattare l’Africa come una colonia,
come un partner minore o comunque come un continente che, come dice Hegel, ancora
“dorme nel buio dell’infanzia”. Nel mese di novembre dell’anno scorso, durante il
summit della Commonwealth, il Primo Ministro Britannico ha avvertito che avrebbe tagliato
gli aiuti ai paesi che resistono alla legalizzazione dell'omosessualità. Nel mese
di dicembre il Presidente USA ha minacciato che il suo paese sarebbe stato pronto
a usare gli aiuti per obbligare i paesi a promuovere gli interessi degli omosessuali.
Ora, l'omosessualità non fa parte della cultura africana e ovunque sul continente
viene vista - a torto o a ragione, questo tocca agli africani discuterlo - come azione
immorale, comunque un male sociale, una diminuzione della forza vitale umana e non
il contrario. Ragion per cui la maggior parte dei paesi africani hanno delle leggi
che la proibiscono. L'insistenza dei leader di questi due paesi, di vederla ufficialmente
riconosciuta come uno dei valori africani, è un segno che la partnership con il mondo
euronordoccidentale ha ancora una lunga strada da percorrere. Ma, per fortuna,
gli africani da tutte le parti del continente hanno reagito in difesa della cultura
locale, mostrandosi orgogliosi dei propri valori e soprattutto pretendendo il rispetto
della sovranità dei loro paesi e il rispetto dei principi della cultura africana,
in questo caso considerati non negoziabili con gli aiuti stranieri di nessun genere.
E
l’Africa cosa deve fare? L’Africa deve incrementare l'integrazione regionale.
Organismi regionali come la Comunità Economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest,
la Comunità dell'Africa Orientale, la Comunità di sviluppo dell’Africa Australe, l'Autorità
Intergovernativa per lo sviluppo, la Comunità degli Stati del Sahel e del Sahara,
il Mercato comune per l'Africa Australe, la Comunità Economica dell'Africa Centrale
e l’Unione del Magreb Arabo devono essere rafforzate. Dal punto di vista economico,
il vantaggio dell'integrazione regionale risiede nel fatto che essa allarga il mercato
per i beni e i servizi per ciascuno Stato membro, stimolando gli investimenti sia
interni che esterni. Allo stesso modo, si mette l'organismo regionale in una forte
posizione contrattuale perché gli Stati membri contrattano come gruppo e sviluppano
posizioni comuni che spesso contribuiscono al conseguimento di risultati migliori
durante i negoziati. In secondo luogo, il continente ha bisogno di sviluppare una
forte partnership con i Paesi delle economie cosiddette emergenti (Brasile, Russia,
Cina, India, Malesia, Singapore e Corea del Sud) in grado di offrire benefici reciproci.
La maggior parte di questi paesi hanno dimostrato che non sono interessati ad accordi
di sfruttamento ma ad accordi di pari opportunità tra i membri, e quindi di vera partnership. Concludiamo
questa riflessione con un’osservazione: gli Stati membri di organismi regionali devono
essere più attivi nel promuovere la partnership, adempiendo le loro responsabilità
come previsto, se vogliono ottenere risultati positivi. Essi non dovrebbero aspettare
che sia il partner a fare tutto per loro. Insomma, “se vis partnership para te ipsum”. John
Baptist Tumusiime e Filomeno Lopes con il contributo
di Festus Tarawalie e Padre Moses Hamungole