Giornata mondiale della lebbra, oltre 14 milioni le persone guarite negli ultimi 25
anni
Si celebra oggi la Giornata mondiale dei malati di lebbra, lanciata nel 1954 dal giornalista
e scrittore francese Raoul Follereau. Nel mondo questa malattia colpisce, ancora oggi,
una persona ogni tre minuti ed è presente in diversi Paesi poveri e in vari Stati
in via di sviluppo, tra cui India e Brasile. Nel 2010 sono stati identificati oltre
228 mila nuovi casi. Sono più di 14 milioni le persone guarite negli ultimi 25 anni
e, secondo stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo sono circa 2
milioni i malati con gravi disabilità legate al morbo di Hansen. La lebbra, in realtà,
non è letale se si interviene precocemente. Ma se è una malattia curabile, perché
non viene debellata? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto al presidente dell’Associazione
Italiana Amici di Raoul Follereau (Aifo), la dottoressa Anna Maria Pisano,
medico cooperante in Africa per circa 10 anni con diverse Ong:
R. - Ci sono
tanti motivi per cui non viene debellata. La cosa peggiore della lebbra è che è una
malattia emarginante. Da diverso tempo, trent’anni circa, la lebbra si può curare
perfettamente con un trio di farmaci e si può curare molto bene. E’ però presente
in Paesi molto poveri e quindi insieme alla povertà c’è l’emarginazione e insieme
all’emarginazione c’è anche la difficoltà di raggiungere queste persone. E c’è anche
il problema che la lebbra è una malattia con un tempo di incubazione lunghissimo,
da uno fino a più di vent’anni. Per questo, tutte le possibili infezioni devono essere
seguite. Tanti casi restano assolutamente non curati perché un paziente che viene
scoperto con la lebbra, viene ancora isolato dalla famiglia e dalla società in questi
Paesi.
D. – “Perché il malato di lebbra cessi di essere lebbroso - ricordava
Roul Follerau - bisogna guarire quelli che stanno bene, bisogna guarire quelle persone
terribilmente fortunate che siamo noi da un’altra lebbra molto più contagiosa e più
miserabile: la paura”. Come si guarisce dalla paura, dall’indifferenza verso questa
malattia?
R. - L’indifferenza: effettivamente noi cerchiamo di chiudere
gli occhi davanti a queste cose. La lebbra è una malattia che si nasconde e quindi
se non la vogliamo vedere, non la vediamo. E dalla paura, perché c’è sempre questa
paura del contagio, che in realtà non esiste più: la lebbra è una malattia pochissimo
contagiosa e il contagio è possibile solo senza un minimo di attenzione e di igiene.
Ma il contagio della lebbra viene superato completamente con una settimana di terapia.
Quindi è una malattia che, adesso, si può vincere molto bene, senza problemi. Però
la gente si ricorda del malato di lebbra con tutte le disabilità, dei disastri che
la lebbra fa a livello del viso, delle mani. E’ una malattia che rovina e rende veramente
disabile il paziente. Tra l’altro, ho conosciuto malati di lebbra, per esempio in
Ghana, dove sono stata due anni a lavorare con loro: sono persone eccezionali che
convivono con la loro malattia in modo assolutamente sereno, cercando di rifarsi una
vita, di continuare a lavorare nonostante le disabilità… Siamo stati abituati ormai
nella nostra vita ad essere, per esempio, il più autonomi e più efficienti possibile,
senza disabilità… La lebbra è una malattia che fa paura perché ricorda la morte, ricorda
la distruzione. Come si vince la paura? Si vince col nostro avvicinarci al fratello,
col nostro amore, con la nostra considerazione, minima, verso le persone. Si vince
ricordandosi che tutti quanti, anche i lebbrosi, sono uomini come gli altri. Roul
Follerau diceva: “Facciamo in modo che il malato di lebbra sia un uomo come gli altri,
che ad un certo punto può veramente essere lui artefice della società”.
D.
- Una malattia come la lebbra si vince anche dando un piccolo, importante contributo:
con poco più di 10 euro al mese si può finanziare, ad esempio - tramite l’Aifo - la
cura completa di una persona affetta dal morbo di Hansen…
R. - La lebbra
è una malattia che può essere curata molto bene, quando ad un certo punto ci sono
solo piccole macchie, dopodiché una persona guarisce completamente. La lebbra, anche
la peggiore, si può curare veramente con poco. Un malato di lebbra che è guarito ma
che rimane invalido, ha bisogno di essere reinserito in società e quindi ci sono i
gruppi di aiuto. E con tutte queste iniziative di microcredito, riescono a reinserirsi
nella famiglia, nella società e, addirittura, riescono a diventare protagonisti. Questi
malati di lebbra che si riuniscono proprio in gruppi riescono a diventare uomini come
gli altri.
D. – Chi non è mai stata indifferente ai malati di lebbra,
oltre alla vostra associazione, è anche la Chiesa missionaria che offre concrete possibilità
di recupero, di reinserimento nella società…
R. – I missionari sono
stati i primi che si sono attivati per i malati di lebbra. I malati di lebbra appaiono
nel Vangelo varie volte, Gesù li avvicina… La nostra associazione, l’Aifo, i primi
rapporti li ha avuti con i missionari e buona parte dei rapporti li ha tutt’ora con
i missionari. In India, dove io sono andata da poco, abbiamo 29 progetti, tra India
e Bangladesh. Sono tutti progetti con suore e padri delle missioni che seguono veramente,
con grande amore e con grande capacità professionale, queste persone. (bf)