Prigionieri torturati in Libia: Medici Senza Frontiere via dal carcere di Misurata
La transizione in Libia si fa sempre più complicata. Oltre ai sanguinosi scontri avvenuti
di recente a Tripoli e a Bani Walid, si parla anche di torture ai danni dei prigionieri.
La denuncia arriva dall’Onu e dal mondo delle ong. Proprio per questo motivo, a Misurata,
Medici Senza Frontiere (Msf) ha sospeso l’assistenza ai detenuti. Eugenio Bonanata
ha intervistato Freya Raddi, responsabile dei progetti di Msf nel Paese africano:
R. - Come
è stato detto ieri nel nostro comunicato, noi abbiamo curato 115 persone con ferite
da tortura. La vicenda cha ha fatto per così dire “traboccare il vaso” è stata la
strumentalizzazione dell’atto medico di Msf, quando il 3 gennaio ci hanno portato
14 detenuti/pazienti. Le autorità hanno chiesto di dare loro un primo soccorso, comunque
di stabilizzarli, per poi riportarli al centro di interrogazione che si trova al di
fuori delle prigioni dove noi lavoravamo. Quindi, ovviamente, la posizione del nostro
team medico è stata quella di sollevare la questione, di rifiutarsi di far parte di
un sistema e di essere strumentalizzati.
D. - Qual è dunque la caratteristica
di questo sistema al carcere di Misurata?
R. - I prigionieri vengono
portati in diversi centri di interrogazione, dove vengono interrogati - sfortunatamente
- anche attraverso abusi fisici e poi vengono riportati all’interno delle prigioni.
D.
- Che tipo di abusi fisici avete riscontrato sui pazienti?
R. - Contusioni
generali su tutto il corpo, delle fratture sia agli arti superiori che agli arti inferiori.
Tre pazienti, inoltre, sono arrivati in condizioni molto critiche. Dovevano essere
trasferiti in un ospedale per avere delle cure mediche più specializzate, che noi
non potevamo dareperché abbiamo solo un ambulatorio all’interno delle prigioni.
D.
- Qual è stata la risposta da parte delle autorità locali?
R. - Una
risposta ufficiale non ci è stata mai data. C’è stato un impegno - per così dire -
“verbale”. Solo che durante il periodo di negoziazione che abbiamo iniziato il 9 gennaio,
il team medico di Msf ha continuato a ricevere altri pazienti con evidenti segni di
torture. Per cui, a questo punto, abbiamo preso una decisione e una posizione molto
forte che ha portato appunto alla sospensione delle nostre attività all’interno delle
prigioni. Comunque, siamo presenti a Misurata e anche a Tripoli con un altro progetto
sulla salute mentale.
D. - In conclusione, in base alla vostra esperienza
sul campo si può parlare di prigioni illegali in Libia?
R. - Le posso
dire che, soprattutto nei mesi scorsi - nei mesi di ottobre e novembre - ci era stato
riferito da alcuni pazienti che provenivano da centri che neanche loro sapevano identificare.
Però, non voglio assolutamente confermare questo, perché noi non lo abbiamo visto.
Quindi, se lei mi chiede una conferma di questo è un po’ difficile, perché noi non
li abbiamo mai visitati. (bi)