2012-01-23 14:09:49

Libia, Mustafa Abdel Jalil: se cade il Cnt sarà guerra civile


Sale la tensione in Libia. Il Paese precipiterebbe nella guerra civile se il Consiglio nazionale transitorio si dimettesse. Così il presidente del Cnt, Mustafa Abdel Jalil, dopo le violente proteste contro il governo di questi giorni a Bengasi e le dimissioni del suo numero due, Abdel Hafiz Ghoga. Confermato anche il rinvio dell'adozione, il prossimo 28 gennaio, di una nuova legge elettorale, dalla quale sarà stralciata la norma secondo cui il 10 per cento dei seggi dell'Assemblea costituente è riservato alle donne. Intanto, il Tribunale penale internazionale dell'Aja ha smentito il via libera al processo in patria per Saif al-Islam Gheddafi, figlio del defunto leader libico. Sulla stabilizzazione della Libia, Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Massimo Campanini docente di Storia dei paesi islamici all’Università di Trento:RealAudioMP3

R. – Penso che ci siano diversi aspetti che incidono profondamente sull’attuale situazione libica. Innanzitutto, il fatto che il gruppo dirigente libico è ancora in qualche modo legato all’epoca di Gheddafi e che fino ad ora non ci sia stata, di fatto, un’interruzione veramente sensibile con la gestione politica di Gheddafi. Secondo elemento, la Libia è un Paese da costruire dal punto di vista istituzionale, dal punto di vista organizzativo, perché la struttura della Giamahiria, avviata da Gheddafi, era un’organizzazione dello Stato molto particolare che non lasciava spazio ad uno Stato moderno. In questo senso, è evidente che la Libia deve ancora realizzare strutture che siano veramente efficienti, veramente produttive. Questo si traduce sul terreno in un vuoto di potere e di organizzazione che rende oggettivamente fragile e debole la struttura governativa.

D. – C’è chi afferma che sono presenti nel Paese anche delle sacche di resistenza ancora fedeli al vecchio regime…

R. – Certo, se Gheddafi è riuscito a resistere per molti mesi, come di fatto è stato, è perché godeva, almeno parzialmente, di un certo consenso. E non è assolutamente pensabile che questo consenso sia completamente svanito con la morte di Gheddafi, o con la cattura soprattutto di quello che avrebbe dovuto essere il suo erede, cioè Saif al-Islam.

D. – In queste ore si ipotizza anche lo spettro della guerra civile. E’ verosimile?

R. – La possibilità di una deflagrazione interna è concreta e non può essere esclusa, anche perché le tre parti di cui la Libia è composta sono eterogenee.

D. – Il Cnt, dunque, non è rappresentativo di tutto il Paese?

R. – Secondo me no, perché è un’istituzione in qualche modo creata attraverso dei processi abbastanza discutibili. Ci sono degli aspetti molto oscuri per quanto riguarda lo scoppio della rivolta: il fatto che i rivoluzionari si siano trovati armati, il fatto che improvvisamente Gheddafi sia stato abbandonato anche dai suoi alleati, non solo occidentali, ma anche del mondo arabo. Ci sono molti aspetti oscuri, che riguardano la rivolta libica e il ruolo del Cnt che dovranno essere chiariti nella prospettiva storica. Certamente, però, il Cnt non è del tutto rappresentativo dell’attuale situazione interna. Quindi, questo processo di ricostruzione istituzionale e costituzionale potrebbe andare nella direzione di esigere un nuovo governo che faccia a meno di quegli esponenti che sono stati in qualche modo coinvolti con il regime gheddafiano.

D. – In Libia è slittata anche l’adozione della nuova legge elettorale, il cui testo dovrà essere riesaminato, e sembra molto probabile che perderà l’articolo che stabiliva una quota del 10 per cento riservata alle donne…

R. – E’ il problema della trasformazione, dell’avanzamento di questi Paesi, ma non solo della Libia, anche della Tunisia e dell’Egitto, e potenzialmente del Marocco, della Giordania e poi, in prospettiva, della Siria e dello Yemen - tutti quei Paesi che sono stati in qualche modo coinvolti e travolti dalle rivolte – che sono un laboratorio molto interessante di produzione politica sia dal punto di vista dell’influenza delle forze islamiche sia dal punto di vista di un cammino verso la democrazia. Sono convinto che bisognerà comunque tenere presente che questa democrazia avrà, sia dal punto di vista formale sia sostanziale, delle caratteristiche non necessariamente coincidenti con quelle delle strutture politiche del mondo occidentale. Bisogna lasciare che questi Paesi sperimentino le loro vie e i loro tentativi di nuova progettualità politica, di nuova evoluzione politica. In una situazione di tipo occidentale dove le strutture democratiche, anche a causa della crisi economica, sono sostanzialmente bloccate, ci può essere veramente la possibilità di nuove vie sia dal punto di vista teorico del pensiero politico, sia dal punto di vista pratico: delle regole del vivere civile, della gestione del vivere civile, del vivere comunitario. (ap)







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