Libia, Mustafa Abdel Jalil: se cade il Cnt sarà guerra civile
Sale la tensione in Libia. Il Paese precipiterebbe nella guerra civile se il Consiglio
nazionale transitorio si dimettesse. Così il presidente del Cnt, Mustafa Abdel Jalil,
dopo le violente proteste contro il governo di questi giorni a Bengasi e le dimissioni
del suo numero due, Abdel Hafiz Ghoga. Confermato anche il rinvio dell'adozione, il
prossimo 28 gennaio, di una nuova legge elettorale, dalla quale sarà stralciata la
norma secondo cui il 10 per cento dei seggi dell'Assemblea costituente è riservato
alle donne. Intanto, il Tribunale penale internazionale dell'Aja ha smentito il via
libera al processo in patria per Saif al-Islam Gheddafi, figlio del defunto leader
libico. Sulla stabilizzazione della Libia, Massimiliano Menichetti ha raccolto
il commento di Massimo Campanini docente di Storia dei paesi islamici all’Università
di Trento:
R. – Penso
che ci siano diversi aspetti che incidono profondamente sull’attuale situazione libica.
Innanzitutto, il fatto che il gruppo dirigente libico è ancora in qualche modo legato
all’epoca di Gheddafi e che fino ad ora non ci sia stata, di fatto, un’interruzione
veramente sensibile con la gestione politica di Gheddafi. Secondo elemento, la Libia
è un Paese da costruire dal punto di vista istituzionale, dal punto di vista organizzativo,
perché la struttura della Giamahiria, avviata da Gheddafi, era un’organizzazione dello
Stato molto particolare che non lasciava spazio ad uno Stato moderno. In questo senso,
è evidente che la Libia deve ancora realizzare strutture che siano veramente efficienti,
veramente produttive. Questo si traduce sul terreno in un vuoto di potere e di organizzazione
che rende oggettivamente fragile e debole la struttura governativa.
D.
– C’è chi afferma che sono presenti nel Paese anche delle sacche di resistenza ancora
fedeli al vecchio regime…
R. – Certo, se Gheddafi è riuscito a resistere
per molti mesi, come di fatto è stato, è perché godeva, almeno parzialmente, di un
certo consenso. E non è assolutamente pensabile che questo consenso sia completamente
svanito con la morte di Gheddafi, o con la cattura soprattutto di quello che avrebbe
dovuto essere il suo erede, cioè Saif al-Islam.
D. – In queste ore si
ipotizza anche lo spettro della guerra civile. E’ verosimile?
R. –
La possibilità di una deflagrazione interna è concreta e non può essere esclusa, anche
perché le tre parti di cui la Libia è composta sono eterogenee.
D.
– Il Cnt, dunque, non è rappresentativo di tutto il Paese?
R. – Secondo
me no, perché è un’istituzione in qualche modo creata attraverso dei processi abbastanza
discutibili. Ci sono degli aspetti molto oscuri per quanto riguarda lo scoppio della
rivolta: il fatto che i rivoluzionari si siano trovati armati, il fatto che improvvisamente
Gheddafi sia stato abbandonato anche dai suoi alleati, non solo occidentali, ma anche
del mondo arabo. Ci sono molti aspetti oscuri, che riguardano la rivolta libica e
il ruolo del Cnt che dovranno essere chiariti nella prospettiva storica. Certamente,
però, il Cnt non è del tutto rappresentativo dell’attuale situazione interna. Quindi,
questo processo di ricostruzione istituzionale e costituzionale potrebbe andare nella
direzione di esigere un nuovo governo che faccia a meno di quegli esponenti che sono
stati in qualche modo coinvolti con il regime gheddafiano.
D. – In Libia
è slittata anche l’adozione della nuova legge elettorale, il cui testo dovrà essere
riesaminato, e sembra molto probabile che perderà l’articolo che stabiliva una quota
del 10 per cento riservata alle donne…
R. – E’ il problema della trasformazione,
dell’avanzamento di questi Paesi, ma non solo della Libia, anche della Tunisia e dell’Egitto,
e potenzialmente del Marocco, della Giordania e poi, in prospettiva, della Siria e
dello Yemen - tutti quei Paesi che sono stati in qualche modo coinvolti e travolti
dalle rivolte – che sono un laboratorio molto interessante di produzione politica
sia dal punto di vista dell’influenza delle forze islamiche sia dal punto di vista
di un cammino verso la democrazia. Sono convinto che bisognerà comunque tenere presente
che questa democrazia avrà, sia dal punto di vista formale sia sostanziale, delle
caratteristiche non necessariamente coincidenti con quelle delle strutture politiche
del mondo occidentale. Bisogna lasciare che questi Paesi sperimentino le loro vie
e i loro tentativi di nuova progettualità politica, di nuova evoluzione politica.
In una situazione di tipo occidentale dove le strutture democratiche, anche a causa
della crisi economica, sono sostanzialmente bloccate, ci può essere veramente la possibilità
di nuove vie sia dal punto di vista teorico del pensiero politico, sia dal punto di
vista pratico: delle regole del vivere civile, della gestione del vivere civile, del
vivere comunitario. (ap)