Fallimento della Kodak, la pellicola va in pensione: il commento del “fotografo dei
Papi”, Arturo Mari
La Kodak ha ufficialmente avviato, nei giorni scorsi, la procedura di fallimento.
La celebre azienda americana produttrice di pellicole, fondata nel 1888, è stata definitivamente
travolta dall’arrivo del digitale, tecnologia creata peraltro proprio dall’ingegnere
della Kodak, Steven Sasson, nel 1975. Che cosa perdiamo e cosa guadagniamo con il
definitivo tramonto della pellicola e la sua sostituzione con il digitale? Massimo
Pittarello lo ha chiesto ad Arturo Mari, il “fotografo dei Papi”:
R. – In 53
anni di esperienza al servizio dei Pontefici, ho sempre prediletto la Kodak. E’ stato
materiale buono, ottimo. Non si può nascondere che attualmente il digitale ha fatto
dei progressi enormi. Consideriamo soltanto la questione delle trasmissioni: in pochi
minuti si può fare il pool per tutto il mondo, con le migliori fotografie, cosa che
prima era un po’ più difficile! Cioè, tutto ciò andava fatto ma con qualche ora di
sforzo, sempre appoggiandosi alle grandi agenzie … Per cui, sì, c’è un vantaggio enorme
nella modernità, questo non si può negare. Però, come fotografo, devo dire che va
via tutta quella poesia, l’amore per la camera oscura, come nascono le fotografie
curandole con le proprie mani …
D. – Lei che per anni è stato il fotografo
personale di Giovanni Paolo II, quali ricordi particolari conserva di questa sua attività?
R.
– I ricordi sono tantissimi … Non posso dimenticare gli incontri nella Cappella privata;
non posso dimenticare milioni di persone all’estero che aspettavano questo “punto
bianco”, questa figura, questo punto di appoggio, di fede … Come non posso dimenticare
le sue visita nei lebbrosari, in Africa, con i bambini colpiti dall’Aids … tante,
tante cose ho nei miei ricordi! Quale scegliere, quale dire che è la più bella, la
più emozionante? E’ tutta un’emozione …
D. – C’è da dire che con la
tecnologia digitale è ancora più facile che chiunque acquisti uno strumento che “cattura”
le immagini, si senta a suo modo fotografo. La domanda è: continuerà ad esistere la
professione del fotografo?
R. – Io penso di sì. La macchina deve stare
a mia disposizione, la mia testa deve comandare lei, con le mie mani; non la macchina
comandare me. Perché se la macchina comanda me, allora abbiamo finito: mettiamo un
automatismo e diventiamo tutti fotografi. Poi bisogna considerare anche l’estro: è
una professione, è un’arte, la fotografia. Certo, all’atto pratico, oggi come oggi
tutti possono reputarsi fotografi. Basta impostare la macchina in una certa maniera,
comanda lei, e buona notte!
D. – L’uomo può imparare a ricordare, ma
non apprenderà mai una tecnica dell’oblio. Mentre la fotografia digitale consente
anche delle “amnesie volontarie”: basta spingere il tasto “cancella”. Si perde un
po’ il valore del tempo e l’unicità dei momenti della nostra vita, magari catturati
su pellicola?
R. – Quando “prima” io scattavo una fotografia, si faceva
la foto, si sentiva il carisma della persona sulla pelle, si entra in un unico corpo.
Attualmente – come anche io ho fatto: e lì è stata la mia “vergogna” – scattata una
fotografia, subito a vedere se era venuta bene, se la luce, il diaframma erano buoni
… Qualche volta mi sono fermato ed ho pensato: Arturo, ma non ti guardi allo specchio?
Ma prima, cosa facevi? Quello scatto doveva essere perfetto, e lo era! Adesso la cognizione
di causa è che appena ho scattato vado a controllare se … ma … e così metto in dubbio
anche la mia capacità … Cioè, quella professionalità che io ho imparato iniziando
a lavorare con le lastre di vetro … beh, tu con sei lastre facevi l’avvenimento!
E guai se ne sbagliavi una! Questa è esperienza, questa è vita, questa è arte. Qui
nasce la professionalità del fotografo… (gf)