Afghanistan: Karzai apre al dialogo con i talebani, ma nel Paese è ancora violenza
I Talebani hanno rivendicato l'uccisione dei quattro soldati francesi nell'est dell'Afghanistan,
affermando di aver reclutato il militare afghano responsabile dell'attacco di ieri
contro i transalpini. Intanto questa mattina nuovo attentato, a Lashkar Gah, capoluogo
della provincia meridionale di Helmand, dove 4 civili hanno perso la vita in seguito
all'esplosione di un ordigno. L'attacco è giunto proprio mentre il presidente Karzai,
inaugurando l'anno parlamentare a Kabul, si è detto disponibile ad aprire un negoziato
di pace con i talebani; il processo di riconciliazione - ha sottolineato però il capo
di Stato - appartiene alla nazione afghana e nessun Paese o organizzazione stranieri
possono sottrarre agli afghani questo diritto. Come valutare questa presa di posizione
così forte? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Maurizio Simoncelli,
di Archivio Disarmo e docente di geopolitica dei conflitti presso l’Università Roma
Tre:
R. – Non
è un'apertura nuova, perché da tempo Karzai sta tentando di avviare un dialogo all’interno
dell’Afghanistan, e sappiamo che la situazione è molto complessa. Ma certamente è
un segnale molto forte e di fronte al fatto che teoricamente nel 2014 dovrebbero ritirarsi
gli uomini della missione internazionale, la mossa di Karzai è ispirata a far sì che
a quell’epoca ci si arrivi non con una nuova guerra civile, ma all’interno di un processo
di pacificazione.
D. – Gli Stati Uniti, attraverso il loro inviato Grossman,
hanno riferito alle autorità afghane che è necessario mettere fine al conflitto. Su
cosa si basa il rapporto tra Washington e Kabul, in questo momento? E’ più di coalizione
o di scontro diplomatico?
R. – Tutti e due contemporaneamente. Karzai
si è lamentato duramente, più volte con gli Stati Uniti in particolare, per la gestione
della missione, per i danni collaterali. Non dimentichiamo che nella vicenda irachena,
ad esempio, ci sono stati 115 mila civili uccisi a fronte di circa 15 mila militari,
iracheni e della coalizione. La popolazione civile ha pagato un tributo altissimo
in questa guerra, e quindi la volontà di Karzai è quella di spingere gli Stati Uniti
ad avere un atteggiamento non più da occupanti.
D. – Dall’altra parte,
però, il rapporto tra Usa e Aghanistan – dal punto di vista politico – è comunque
solido …
R. – Certamente! Il rapporto è solido anche perché Karzai negli
Stati Uniti e nella missione Isaf trova un punto di riferimento significativo e anche
di legittimazione di fatto del suo potere. Ma è certo che un processo di pace va realizzato
con coloro che si combattono, e quindi inevitabilmente bisogna avviare un processo
di pacificazione all’interno dell’Afghanistan, tentando di coinvolgere al massimo
quelle forze variegate del mondo che noi definiamo in modo molto generico “dei talebani”;
quelle forze che sono eventualmente più disponibili a trovare un accordo con Karzai.
D.
– L’Afghanistan, comunque, continua ad essere un Paese instabile e diviso tra mille
tribù e fazioni, piagato dalle continue violenze. Riuscirà questa apertura a normalizzare
la situazione?
R. – Sappiamo che il mondo afghano è molto complesso;
non abbiamo di fronte un esercito unitario con un comandante unico che si oppone al
potere di Kabul; non abbiamo due governi che si fronteggiano: abbiamo un governo centrale
e abbiamo un’altra coalizione, di fronte, una coalizione – come abbiamo detto prima
– di tante tribù, con tanti diversi capi. Quindi, è una trattativa molto complessa,
molto difficile e resa ancora più difficile dalla pluralità dei soggetti che dovrebbero
sedere intorno a questo tavolo. Per altri versi, questo però può facilitare, perché
può dare delle possibilità di dividere il campo avversario e trovare quantomeno una
parte più disponibile ad un accordo, ad una pacificazione. E questo potrebbe essere
uno dei percorsi che Karzai vorrebbe compiere. (gf)