2012-01-21 13:42:46

Afghanistan: Karzai apre al dialogo con i talebani, ma nel Paese è ancora violenza


I Talebani hanno rivendicato l'uccisione dei quattro soldati francesi nell'est dell'Afghanistan, affermando di aver reclutato il militare afghano responsabile dell'attacco di ieri contro i transalpini. Intanto questa mattina nuovo attentato, a Lashkar Gah, capoluogo della provincia meridionale di Helmand, dove 4 civili hanno perso la vita in seguito all'esplosione di un ordigno. L'attacco è giunto proprio mentre il presidente Karzai, inaugurando l'anno parlamentare a Kabul, si è detto disponibile ad aprire un negoziato di pace con i talebani; il processo di riconciliazione - ha sottolineato però il capo di Stato - appartiene alla nazione afghana e nessun Paese o organizzazione stranieri possono sottrarre agli afghani questo diritto. Come valutare questa presa di posizione così forte? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Maurizio Simoncelli, di Archivio Disarmo e docente di geopolitica dei conflitti presso l’Università Roma Tre:RealAudioMP3

R. – Non è un'apertura nuova, perché da tempo Karzai sta tentando di avviare un dialogo all’interno dell’Afghanistan, e sappiamo che la situazione è molto complessa. Ma certamente è un segnale molto forte e di fronte al fatto che teoricamente nel 2014 dovrebbero ritirarsi gli uomini della missione internazionale, la mossa di Karzai è ispirata a far sì che a quell’epoca ci si arrivi non con una nuova guerra civile, ma all’interno di un processo di pacificazione.

D. – Gli Stati Uniti, attraverso il loro inviato Grossman, hanno riferito alle autorità afghane che è necessario mettere fine al conflitto. Su cosa si basa il rapporto tra Washington e Kabul, in questo momento? E’ più di coalizione o di scontro diplomatico?

R. – Tutti e due contemporaneamente. Karzai si è lamentato duramente, più volte con gli Stati Uniti in particolare, per la gestione della missione, per i danni collaterali. Non dimentichiamo che nella vicenda irachena, ad esempio, ci sono stati 115 mila civili uccisi a fronte di circa 15 mila militari, iracheni e della coalizione. La popolazione civile ha pagato un tributo altissimo in questa guerra, e quindi la volontà di Karzai è quella di spingere gli Stati Uniti ad avere un atteggiamento non più da occupanti.

D. – Dall’altra parte, però, il rapporto tra Usa e Aghanistan – dal punto di vista politico – è comunque solido …

R. – Certamente! Il rapporto è solido anche perché Karzai negli Stati Uniti e nella missione Isaf trova un punto di riferimento significativo e anche di legittimazione di fatto del suo potere. Ma è certo che un processo di pace va realizzato con coloro che si combattono, e quindi inevitabilmente bisogna avviare un processo di pacificazione all’interno dell’Afghanistan, tentando di coinvolgere al massimo quelle forze variegate del mondo che noi definiamo in modo molto generico “dei talebani”; quelle forze che sono eventualmente più disponibili a trovare un accordo con Karzai.

D. – L’Afghanistan, comunque, continua ad essere un Paese instabile e diviso tra mille tribù e fazioni, piagato dalle continue violenze. Riuscirà questa apertura a normalizzare la situazione?

R. – Sappiamo che il mondo afghano è molto complesso; non abbiamo di fronte un esercito unitario con un comandante unico che si oppone al potere di Kabul; non abbiamo due governi che si fronteggiano: abbiamo un governo centrale e abbiamo un’altra coalizione, di fronte, una coalizione – come abbiamo detto prima – di tante tribù, con tanti diversi capi. Quindi, è una trattativa molto complessa, molto difficile e resa ancora più difficile dalla pluralità dei soggetti che dovrebbero sedere intorno a questo tavolo. Per altri versi, questo però può facilitare, perché può dare delle possibilità di dividere il campo avversario e trovare quantomeno una parte più disponibile ad un accordo, ad una pacificazione. E questo potrebbe essere uno dei percorsi che Karzai vorrebbe compiere. (gf)







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