Al G20 le ripercussioni della crisi finanziaria sui Paesi poveri ed emergenti
C’è bisogno del rifinanziamento del Fondo Monetario Internazionale, ma bisogna anche
agire sul mercato del lavoro, in un momento in cui la forbice di reddito tra ricchi
e poveri aumenta in 14 su 18 Paesi del G20, registrando le peggiori performance in
Russia, Cina, Giappone e Sudafrica. E’ quanto emerso durante l’incontro dei vice-ministri
finanziari del G20, riuniti da ieri in Messico. Dati allarmanti, che evidenzano quanto
la crisi vada ad influire soprattutto sulle fasce più deboli della popolazione e sui
Paesi più poveri. Ma questa crisi, che tutti analizzano dal punto di vista europeo,
che ripercussioni ha, nella quotidianità, sui Paesi del terzo mondo e quelli in via
di sviluppo? Salvatore Sabatino ne ha parlato con Sergio Marelli, segretario
generale di Focsiv, la Federazione delle organizzazioni cristiane di volontariato:
R. – Le ripercussioni
- se è possibile - sono ancora più gravi rispetto a quelle che anche noi qui in Italia
abbiamo dovuto subire in questi anni, e questo per due fattori concomitanti: il primo
è che la crisi ha drasticamente ridotto gli aiuti alla cooperazione internazionale
e quindi ai Paesi poveri; e il secondo perché il rallentamento dei mercati internazionali
ha anche un impatto su questi Paesi, in particolare per quanto attiene al settore
e al comparto agricolo.
D. – Quando si allarga la forbice tra ricchi
e poveri in qualsiasi Paese si va ad agire su un terreno di iniquità e questo vale
anche di più nei Paesi poveri: cosa fare concretamente per ridurre questa forchetta?
R.
– L’iniquità dei Paesi poveri è una cosa che viene da lontano: lo sfruttamento dell’epoca
coloniale, che poi non si è mai di fatto interrotto, ha allargato la forchetta tra
ricchezza e povertà nel mondo. Penso che per ridare una chance, un’opportunità a questi
Paesi di rientrare nei circuiti virtuosi dell’economia, bisogna tornare soprattutto
ad investire sull’agricoltura su larga scala, in particolare con politiche che sostengano
le piccole aziende produttrici su scala familiare.
D. – Durante il
Vertice messicano è emersa, inoltre, la necessità di agire anche sul fronte dell’occupazione
come chiave di volta per sbloccare il trend della crisi. Quanto è importante il lavoro
in questi Paesi?
R. – In generale le percentuali di disoccupazione dei
Paesi del Sud del mondo e in particolare nell’Africa sub-sahariana sono delle percentuali
a due cifre: quindi sicuramente c’è un problema di occupazione, in modo particolare
per delle società che hanno più del 50 per cento della popolazione in fasce giovanili;
questo fa facilmente comprendere come la questione occupazionale sia, forse, una delle
più urgenti per fare riprendere l’economia di questi Paesi. Non è un caso che l’Organizzazione
internazionale del lavoro da tempo suggerisce, anzi richiede, che le politiche di
questi Paesi siano orientate ai cosiddetti progetti ad alta occupazione, ad alta manodopera.
D. – Ma i Paesi emergenti, con la loro forza di riscatto, possono diventare
in una situazione di crisi globale, come quella che stiamo vivendo noi, i protagonisti
della ripresa?
R. – Intanto, in parte, lo stanno già diventando e non
solo per quello che succede, per esempio, con la Cina e cioè con la capacità di penetrazione
di questa grande nazione sui mercati internazionali, ma – forse è meno conosciuto
– perché la ricapitalizzazione del Fondo Monetario Internazionale oggi si fa anche
con l’apporto di questi Paesi. Non sono più solamente i Paesi ricchi a capitalizzare
il fondo, ma sono anche Paesi come il Brasile, il Sudafrica, l’India, la Cina, la
Russia, etc. E’ chiaro che a fronte di questo e anche per aumentare il loro potere
– diciamo così - sullo scenario internazionale richiedono giustamente che le regole
della governance di questi organismi internazionali sia rivista verso una amplificazione,
un allargamento del loro potere, in particolare nei percorsi decisionali e nelle prese
di voto, rispetto a quanto stabilito fino a ieri.
D. – I Paesi più poveri
possono trovare delle alternative anche al loro interno per uscire dalla crisi: noi,
in quello che viene definito l’Occidente, siamo un po' più ingessati da questo punto
di vista…
R. – Sicuramente c’è un grande fermento, c’è una grande vitalità
spesso non conosciuta e poco manifesta in questi Paesi, che se fosse gestita con una
migliore governance, con dei governi più attenti anche maggiormente al servizio del
bene delle loro nazioni e delle loro popolazioni, potrebbero sicuramente rappresentare
un motore per la ripresa, per la crescita di questi Paesi, un motore per le loro economie.
Pensiamo sempre, ad esempio, alla questione della emersione del lavoro informale:
la maggior parte di queste società e quindi delle loro economie si basa grandemente
su dei lavori che sono oggi informali e che potrebbero essere recuperati, valorizzati
e fatti emergere con delle politiche di incentivi proposte dai loro governi. (mg)