2012-01-17 14:23:47

Proteste nella Repubblica Democratica del Congo: l'impegno dei vescovi per il dialogo e la non violenza


Cresce la tensione nella Repubblica Democratica del Congo dopo le contestate elezioni generali che hanno decretato, nel dicembre scorso, la vittoria del presidente uscente Kabila sul rivale Tshisekedi e la ricostituzione del Parlamento. L’esito delle legislative si conoscerà entro il mese di gennaio. Il popolo congolese continua a manifestare denunciando brogli, con loro anche la Chiesa cattolica del Paese che richiama alla non violenza, ma anche al dialogo ed al rispetto delle procedure elettorali. Da segnalare l’iniziativa dell’arcidiocesi di Kinshasa dove le campane suoneranno ogni sabato, segno del programma di formazione per la costruzione della pace come annunciato dai vescovi al termine della loro assemblea plenaria. Massimiliano Menichetti ha intervistato don Donatien Nshola primo vice-segretario generale della Conferenza episcopale congolese:RealAudioMP3

R. – Per i vescovi è chiarissimo che queste elezioni si sono svolte con gravissime irregolarità e dunque i risultati non sono credibili. I vescovi invitano ora gli organizzatori a prendere le decisioni che si impongono per fare giustizia al popolo congolese, affinché prevalga la pace nella giustizia.

D. – I vescovi hanno espresso anche vicinanza alla popolazione e tante sono le iniziative per contestare le irregolarità…

R. – I vescovi hanno richiamato il popolo a essere vigilante, a non cadere nel pessimismo e a far crescere soprattutto la coscienza della sua unità nazionale. I vescovi però non hanno consegnato un elenco delle manifestazioni da attuare a livello nazionale.

D. – Le accuse di brogli pesano sull’elezione di Kabila a dicembre e sulle parlamentari, il cui esito si conoscerà a fine mese. Come si esce da questa situazione?

R. – Adesso si impone l’apertura di un dialogo con la parte sconfitta, perché la vera preoccupazione dei vescovi è quella di evitare una guerra, di evitare nuovi spargimenti di sangue. Ci sono due cose importanti da fare: riguardo alle elezioni presidenziali, c’è ora la necessità di un dialogo fra i politici per vedere come collaborare insieme per andare avanti; e riguardo alle elezioni legislative, che sono ancora in corso, è necessario essere attenti in modo di far passare soltanto coloro che sono stati realmente votati, se non dovesse accadere questo rischierebbe di essere fonte di conflitti gravi e questo mi fa veramente paura.

D. – Ci sono però segnali che vanno anche nella direzione della giustizia?

R. – Il presidente della Commissione elettorale nazionale indipendente - l’organismo che decide sulle elezioni - ha promesso di far luce rispetto alle contestazioni… lo speriamo! Se riuscirà a rimettere le cose a posto, va bene: altrimenti sarà complicato. Adesso tutto dipende dalla saggezza del governo: devono essere responsabili; devono essere aperti; devono manifestare la volontà di rimettere le cose a posto!

D. – Un altro punto che crea frizione è la paventata modifica della Costituzione?

R. – La cosa che non si deve assolutamente fare è proprio cambiare la Costituzione, perché questo anno - in base proprio alla Carta Fondamentale – è l’ultimo mandato del presidente. E il tentativo di modificare ora la Costituzione darebbe forza ad una grande violenza: il popolo non è pronto ad accettare una modifica degli articoli considerati intoccabili. (mg)

In Congo molti invocano nuove elezioni, ma è percorribile questa via? Al microfono di Massimiliano Menichetti, il commento del nostro collega congolese padre Jean-Pierre Bodjoko, responsabile dell’ufficio promozione per l’Africa:RealAudioMP3

R. – La situazione che c’è ora in Congo è molto complessa. Ritengo che non sia possibile rifare le elezioni e questo anzitutto per i costi e per l’organizzazione. L’opposizione non ha più fiducia nella Commissione elettorale. Non dimentichiamo poi che per organizzare delle elezioni ci vogliono i soldi, ed ora il governo attuale non li ha.

D. – A breve si aspetta anche l’esito delle elezioni parlamentari?

R. – Entro la fine del mese dovrebbero essere pubblicati i risultati. Li hanno già rimandati, ma comunque anche per le elezioni legislative dell’Assemblea Nazionale si profilano problemi, già tanti politici contestano che anche queste consultazioni non sono chiare.

D. – Quindi irregolarità nelle elezioni presidenziali e irregolarità anche per le elezioni parlamentari?

R. – Questo è sicuro. Ho sentito che in una regione il numero dei votanti alle elezioni legislative sono stati superiori a quelle delle presidenziali: ma le elezioni si sono tenute nello stesso giorno! La soluzione a tutta questa situazione potrebbe essere quella di avviare un vero accordo tra i politici, dando rilevanza soprattutto al partito di Tshisekedi, che è stato il secondo alle elezioni presidenziali. D’altro canto mettere tutti i partiti sullo stesso piano significherebbe creare un ulteriore caos perché tutti vorrebbero avere voce in capitolo e anche il presidente Kabila potrebbe demandare le proprie responsabilità affermando di non essere solo lui a governare…

D. – Alcuni dicono: Kabila è presidente, ma – ad esempio – il primo ministro potrebbe essere Tshisekedi. Questa potrebbe essere una soluzione?

R. – Potrebbe essere una soluzione, ma non so se riuscirebbe a risolvere il problema del Paese. E questo perché gli altri schieramenti potrebbero dire che questa regola non è scritta né nella Costituzione né risulta dal dialogo in atto tra i partiti politici. Il rischio è quello di una nuova fase di stallo, in cui ci si chieda perché soltanto due politici devono decidere il destino del Paese e questo sarebbe ancora un problema. Certo Kabila presidente e Tshisekedi premier sarebbe una soluzione ideale ma per non dar adito a polemiche dovrebbero essere cambiati alcuni articoli della Costituzione… Ma chi deve farlo? Quale governo? Quale parlamento?

D. – In questo momento c’è il pericolo di una guerra civile nel Paese?

R. – Non penso, tutti sono stanchi di queste guerre. E per fare la guerra ci vuole anche il sostegno dei Paesi confinanti, ma in questo momento non vedo il Rwanda interessato a sostenere ufficialmente una tale strategia; né l’Uganda, né il Burundi, né altri Paesi.

D. – Rimane però il rischio di tensioni nelle città…

R. – Si. Tensioni interne soprattutto nelle grandi città, perché qui c’è la possibilità di ascoltare le radio, di leggere i giornali e quindi si è più informati e più motivati a contestare, più stimolati anche da parte degli stessi partiti politici…. Ma una guerra civile vera e propria, adesso, non penso sia possibile. (mg)







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