Proteste nella Repubblica Democratica del Congo: l'impegno dei vescovi per il dialogo
e la non violenza
Cresce la tensione nella Repubblica Democratica del Congo dopo le contestate elezioni
generali che hanno decretato, nel dicembre scorso, la vittoria del presidente uscente
Kabila sul rivale Tshisekedi e la ricostituzione del Parlamento. L’esito delle legislative
si conoscerà entro il mese di gennaio. Il popolo congolese continua a manifestare
denunciando brogli, con loro anche la Chiesa cattolica del Paese che richiama alla
non violenza, ma anche al dialogo ed al rispetto delle procedure elettorali. Da segnalare
l’iniziativa dell’arcidiocesi di Kinshasa dove le campane suoneranno ogni sabato,
segno del programma di formazione per la costruzione della pace come annunciato dai
vescovi al termine della loro assemblea plenaria. Massimiliano Menichetti ha
intervistato don Donatien Nshola primo vice-segretario generale della Conferenza
episcopale congolese:
R. – Per
i vescovi è chiarissimo che queste elezioni si sono svolte con gravissime irregolarità
e dunque i risultati non sono credibili. I vescovi invitano ora gli organizzatori
a prendere le decisioni che si impongono per fare giustizia al popolo congolese, affinché
prevalga la pace nella giustizia.
D. – I vescovi hanno espresso anche
vicinanza alla popolazione e tante sono le iniziative per contestare le irregolarità…
R.
– I vescovi hanno richiamato il popolo a essere vigilante, a non cadere nel pessimismo
e a far crescere soprattutto la coscienza della sua unità nazionale. I vescovi però
non hanno consegnato un elenco delle manifestazioni da attuare a livello nazionale.
D. – Le accuse di brogli pesano sull’elezione di Kabila a dicembre
e sulle parlamentari, il cui esito si conoscerà a fine mese. Come si esce da questa
situazione?
R. – Adesso si impone l’apertura di un dialogo con la parte
sconfitta, perché la vera preoccupazione dei vescovi è quella di evitare una guerra,
di evitare nuovi spargimenti di sangue. Ci sono due cose importanti da fare: riguardo
alle elezioni presidenziali, c’è ora la necessità di un dialogo fra i politici per
vedere come collaborare insieme per andare avanti; e riguardo alle elezioni legislative,
che sono ancora in corso, è necessario essere attenti in modo di far passare soltanto
coloro che sono stati realmente votati, se non dovesse accadere questo rischierebbe
di essere fonte di conflitti gravi e questo mi fa veramente paura.
D.
– Ci sono però segnali che vanno anche nella direzione della giustizia?
R.
– Il presidente della Commissione elettorale nazionale indipendente - l’organismo
che decide sulle elezioni - ha promesso di far luce rispetto alle contestazioni… lo
speriamo! Se riuscirà a rimettere le cose a posto, va bene: altrimenti sarà complicato.
Adesso tutto dipende dalla saggezza del governo: devono essere responsabili; devono
essere aperti; devono manifestare la volontà di rimettere le cose a posto!
D.
– Un altro punto che crea frizione è la paventata modifica della Costituzione?
R.
– La cosa che non si deve assolutamente fare è proprio cambiare la Costituzione, perché
questo anno - in base proprio alla Carta Fondamentale – è l’ultimo mandato del presidente.
E il tentativo di modificare ora la Costituzione darebbe forza ad una grande violenza:
il popolo non è pronto ad accettare una modifica degli articoli considerati intoccabili.
(mg)
In Congo molti invocano nuove elezioni, ma è percorribile questa via?
Al microfono di Massimiliano Menichetti, ilcommento del nostro collega
congolese padreJean-Pierre Bodjoko, responsabile dell’ufficio promozione
per l’Africa:
R. – La situazione
che c’è ora in Congo è molto complessa. Ritengo che non sia possibile rifare le elezioni
e questo anzitutto per i costi e per l’organizzazione. L’opposizione non ha più fiducia
nella Commissione elettorale. Non dimentichiamo poi che per organizzare delle elezioni
ci vogliono i soldi, ed ora il governo attuale non li ha.
D. – A breve
si aspetta anche l’esito delle elezioni parlamentari?
R. – Entro la
fine del mese dovrebbero essere pubblicati i risultati. Li hanno già rimandati, ma
comunque anche per le elezioni legislative dell’Assemblea Nazionale si profilano problemi,
già tanti politici contestano che anche queste consultazioni non sono chiare.
D.
– Quindi irregolarità nelle elezioni presidenziali e irregolarità anche per le elezioni
parlamentari?
R. – Questo è sicuro. Ho sentito che in una regione il
numero dei votanti alle elezioni legislative sono stati superiori a quelle delle presidenziali:
ma le elezioni si sono tenute nello stesso giorno! La soluzione a tutta questa situazione
potrebbe essere quella di avviare un vero accordo tra i politici, dando rilevanza
soprattutto al partito di Tshisekedi, che è stato il secondo alle elezioni
presidenziali. D’altro canto mettere tutti i partiti sullo stesso piano significherebbe
creare un ulteriore caos perché tutti vorrebbero avere voce in capitolo e anche il
presidente Kabila potrebbe demandare le proprie responsabilità affermando di non essere
solo lui a governare…
D. – Alcuni dicono: Kabila è presidente, ma –
ad esempio – il primo ministro potrebbe essere Tshisekedi. Questa potrebbe
essere una soluzione?
R. – Potrebbe essere una soluzione, ma non so
se riuscirebbe a risolvere il problema del Paese. E questo perché gli altri schieramenti
potrebbero dire che questa regola non è scritta né nella Costituzione né risulta dal
dialogo in atto tra i partiti politici. Il rischio è quello di una nuova fase di stallo,
in cui ci si chieda perché soltanto due politici devono decidere il destino del Paese
e questo sarebbe ancora un problema. Certo Kabila presidente e Tshisekedi
premier sarebbe una soluzione ideale ma per non dar adito a polemiche dovrebbero essere
cambiati alcuni articoli della Costituzione… Ma chi deve farlo? Quale governo? Quale
parlamento?
D. – In questo momento c’è il pericolo di una guerra civile
nel Paese?
R. – Non penso, tutti sono stanchi di queste guerre. E per
fare la guerra ci vuole anche il sostegno dei Paesi confinanti, ma in questo momento
non vedo il Rwanda interessato a sostenere ufficialmente una tale strategia; né l’Uganda,
né il Burundi, né altri Paesi.
D. – Rimane però il rischio di tensioni
nelle città…
R. – Si. Tensioni interne soprattutto nelle grandi città,
perché qui c’è la possibilità di ascoltare le radio, di leggere i giornali e quindi
si è più informati e più motivati a contestare, più stimolati anche da parte degli
stessi partiti politici…. Ma una guerra civile vera e propria, adesso, non penso sia
possibile. (mg)