Iniziativa di Pax Christi per la Settimana dell'unità dei cristiani: tra i protagonisti
mons. Bettazzi
Nell'ambito della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani - sul tema “Tutti
saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore” - Pax Christi Italia
presenta domani a Venezia il sito Internet www.dodiciraccolti.it. L’iniziativa propone
un’inedita e originale “catena di preghiera”, una “fraternità itinerante” in cui ogni
giorno singole persone, famiglie, parrocchie, scuole, comunità, associazioni prendono
l’impegno di raccogliersi in preghiera per la pace, incontrandosi su Internet. All’evento
partecipa anche mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, testimone diretto
del Concilio Ecumenico Vaticano II. Al presule, oggi 89enne, Giada Aquilino
ha chiesto come iniziative quali quelle di Pax Christi Italia possano contribuire
all’obiettivo dell’unità dei cristiani:
R. – Si tratta
di iniziative importanti, frutto del Concilio. Prima di esso, si guardava all’esattezza
dell’ortodossia: chi non era pienamente ortodosso, come noi, lo si considerava ‘escluso’.
Ricordo che, ai nostri tempi, entrare in una chiesa protestante sembrava quasi un
peccato mortale. Il Concilio ci dice di pensarci tutti in cammino: quelli che condividono
con noi la fede in Gesù Cristo, il Battesimo, la Parola di Dio sono molti vicini a
noi in questo cammino, anche se non partecipano a tutto l’insieme di verità. Con loro
dobbiamo intraprendere questo cammino, per essere portatori della pace del Signore
nel mondo.
D. – L’iniziativa dei ‘Dodici Raccolti’ arriva in occasione
della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Come può contribuire a tale
obiettivo?
R. – Credo che sia proprio il farci capire che la pace è
dono del Signore, che dobbiamo pregare. L’iniziativa della preghiera per l’unità dei
cristiani rappresenta proprio il riconoscimento da parte della Chiesa, soprattutto
dopo il Concilio, del suo dovere di partecipare, di pregare con tutti coloro che credono
in Cristo, con tutti coloro che hanno fede, per chiedere al Signore la grazia di essere
sempre più uniti e sempre più portatori di pace nel mondo. A volte essere portatori
di pace vuol dire, soprattutto per le nazioni più benestanti, più ricche e più potenti
saper rinunciare a qualcosa per metterla a servizio di chi è più povero.
D.
– Pregare per la pace: cosa può portare quest’impegno al cammino ecumenico?
R.
– Prima di tutto una conversione interiore. Inoltre, comprendere - come diceva Papa
Giovanni XXIII - quello che ci unisce, piuttosto che quello che ci divide. E’ pregando
insieme che, forse, ci disponiamo ad essere sempre più uniti nelle cose che ancora
ci dividono.
D. – Lei è testimone privilegiato del Concilio Vaticano
II. Come avvenne la sua partecipazione? Quale fu la sua esperienza di padre conciliare?
R.
– Io arrivai alla seconda sessione. Questo mi ha permesso di capire la differenza
col vedere la prima sessione dall’esterno: sembrava che discutessero di cose formali,
che non ci fossero grandi speranze. Diventai vescovo nel 1963, poi fui vescovo ausiliare
del cardinale Giacomo Lercaro di Bologna, che era appena diventato uno dei quattro
moderatori. Come aiutante aveva don Giuseppe Dossetti. Quando entrai a far parte del
Concilio, mi resi conto che c’erano vescovi africani, latino-americani, asiatici.
Mi resi conto proprio dell’universalità della Chiesa e del desiderio che c’era, da
parte di tutti, di voler rinnovare quanto c’era di importante per non restare chiusi
nelle proprie particolari visuali, per far sentire davvero l’importanza del popolo
di Dio.
D. – A 50 anni dall’avvio, che contributo ha dato il Concilio
al cammino verso l’unità dei cristiani?
R. – L’ecumenismo, anche attraverso
il Concilio, ha aperto tante strade. Credo che il Concilio abbia dato una grande spinta,
ad esempio per il fatto stesso che ci fossero dei “fratelli separati”, come si diceva
allora, ma che in qualche modo ascoltavano e davano il loro contributo. Pensiamo ai
grandi incontri di Assisi, iniziati per l’intuizione del Beato Giovanni Paolo II:
non sarebbero stati possibili prima del Concilio. E lo stesso Papa Benedetto XVI ha
voluto ripetere l’incontro ad Assisi, pochi mesi fa, allargandolo addirittura a tutti
gli uomini di buona volontà ed anche a quelli che si presentano come non credenti,
perché tutti quanti possiamo e dobbiamo contribuire a costruire la pace nel mondo.
D.
– C’è un momento o un episodio del Concilio che in particolare ricorda?
R.
– Ricordo gli sforzi che faceva Paolo VI per fare in modo che anche la minoranza,
quei 500 vescovi che erano più legati alla tradizione e più esitanti al cambiamento,
potesse votare i documenti. Allora, forse, questo faceva soffrire la maggioranza,
che notava delle sfumature inserite nei testi. Adesso, a distanza di tempo, dobbiamo
ringraziare proprio Paolo VI, perché se dei documenti fossero usciti ad esempio con
500 voti contrari si sarebbe sempre potuto discuterne, ma quando le grandi Costituzioni
hanno avuto sette o otto voti contrari e 2.500 favorevoli si può dire che abbiano
ottenuto l’unanimità della Chiesa cattolica, cioè l’insieme dei vescovi ha votato
questi documenti orientativi per tutta la Chiesa cattolica.
D. – Proprio
l’11 ottobre di quest’anno, nel 50.mo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico
Vaticano II, si aprirà l’Anno della fede, indetto da Benedetto XVI. Qual è, allora,
il suo auspicio?
R. – Il mio auspicio è che l’Anno della fede non sia
affrontato in astratto, ma che si viva la fede quale ci è stata aperta, orientata,
sollecitata dal Concilio Vaticano II. Che sia quindi un grande ricupero del messaggio
del Concilio, quello che Papa Giovanni presentò come “la Pentecoste del nostro tempo”.
(vv)