Il Papa: i migranti sono persone, non numeri. La riflessione di mons. Perego e
del vescovo di Bergamo, Beschi
I migranti sono persone non numeri: è il forte richiamo di Benedetto XVI, ieri all’Angelus,
nella 98.ma Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato. Parole che hanno avuto
ampia eco e sulle quali si sofferma il direttore generale della Fondazione “Migrantes”,
mons. Giancarlo Perego, intervistato da Alessandro Gisotti:
R. – Il Papa,
citando i volti dell’immigrazione e non solo i numeri, ha rimesso al centro le persone,
la dignità delle persone immigrate nel nostro Paese, così come tutti i migranti nel
mondo. Questo per ricordare come, anche nelle politiche, occorre essere molto attenti
soprattutto al fatto che abbiamo davanti il volto di un fratello, il volto di una
persona.
D. – In un periodo di crisi economica il rischio è
che si “stringa” un po’ il cuore invece di aprirsi a chi è in difficoltà, come i tanti
migranti? R. – Citando il volto delle persone, il Papa di fatto invita ad
allargare non solo il cuore, ma anche a costruire una casa comune con una maggiore
attenzione a tutte le persone, anche alle persone migranti, sottolineando – e questo
mi pare un passaggio molto bello nelle parole dell’Angelus – che la pace nasce da
qui, nasce da questo superare contrapposizioni e discriminazioni, che sono poi le
parole che aveva anche scritto nel Messaggio della Giornata: la pace nasce anche da
una attenzione alla mobilità oggi nel mondo!
D. – “I migranti non sono
soltanto destinatari - ha detto il Papa – ma anche protagonisti dell’annuncio del
Vangelo”…
R. – Certamente questa coniugazione tra nuova evangelizzazione
e migrazioni non ha solo come oggetto la pastorale migratoria, ma ha come soggetti
i migranti: questo milione di persone che, oggi in Italia, proviene da chiese differenti
– come abbiamo sottolineato nella Giornata – vanno sentite come soggetti protagonisti
della nuova evangelizzazione. Credo che questo sia un invito molto forte a ripensare
anche alle nostre comunità cristiane, mettendo al centro anche della partecipazione
ecclesiale persone che provengono da storie ed esperienze cattoliche differenti. (mg)
E
sempre ieri, il vescovo di Bergamo, mons. Francesco Beschi, ha aderito all’iniziativa
delle Acli, “L’Italia sono anch’io”, che sostiene due proposte di legge per riconoscere
la cittadinanza a chi nasce in Italia e il diritto di voto ai cittadini immigrati,
risiedenti in Italia da almeno 5 anni. Mons. Beschi si sofferma su questa scelta,
al microfono di Alessandro Gisotti:
R. – Il
tema della cittadinanza è un tema che l’Italia si pone da diverso tempo ed è un tema
da guardare con grande attenzione, senza enfatizzarlo o isolarlo rispetto ad un insieme
di temi che investono, appunto, il fenomeno della migrazione e della vita delle persone
immigrate che giungono nel nostro Paese. Certamente, l’evocazione di cittadinanza
dice un riconoscimento comunitario, sulla base di criteri che la comunità si dà, e
soprattutto – secondo me – ha queste due dimensioni importanti: da una parte cittadinanza
non vuol dire soltanto una serie di diritti, ma anche la consapevolezza di una serie
di doveri; significa quindi renderli corresponsabili della vita del nostro Paese.
C’è poi l’altro tema che è quello dei bimbi che nascono nel nostro Paese in situazioni
consolidate e crescono nel nostro Paese e che rischiano alla fine di rimanere degli
apolidi. E non solo apolidi giuridicamente, ma apolidi culturalmente, perché queste
persone non hanno più un’appartenenza. Questo sicuramente non fa bene e non soltanto
a loro, ma anche al nostro Paese, al nostro popolo e alla nostra crescita complessiva.
D.
– Il presidente Napolitano ha definito meritoria l’opera di sostegno della Chiesa
a favore dei migranti…
R. – Non mi può che apparire come profondamente
incoraggiante. A me sembra che l’opera della Chiesa sia stata un’opera certamente
dettata dalla fede, dal Vangelo, dai valori che ne scaturiscono, ma anche con la grande
consapevolezza della tenuta sociale complessiva del nostro Paese: quindi non con ireniche
o idealistiche prospettive che non facciano i conti con le reali situazioni, anzi
gli impegni complessivi delle comunità, anche nel caso ultimo di coloro che hanno
chiesto accoglienza nel nostro Paese, partendo dalle situazioni drammatiche del Nord
Africa, ha visto le nostre comunità impegnate non solo in termini generosi o di accoglienza,
ma anche mi sembra con un grande senso civile e con la consapevolezza che tutto questo
deve essere fatto insieme a coloro che abitano il nostro Paese. (mg)