In Libia si prepara il processo a Saif-al Islam Gheddafi
Missione a Tripoli domani per il capo della giunta militare egiziana, Hussein Tantawi,
che incontrerà il leader del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) libico, Mustafa
Abdel Jalil. Al centro dei colloqui, un eventuale aiuto egiziano alla ricostruzione
della Libia e i futuri rapporti tra i due Paesi, protagonisti negli ultimi mesi di
grandi cambiamenti politici a seguito delle rivolte che hanno portato alla caduta
di Hosni Mubarak e Muammar Gheddafi. In Libia, intanto, mentre continuano gli scontri
tra milizie rivali, con un bilancio di almeno 3 morti a sud di Tripoli, resta al centro
dell’attenzione il futuro processo a Saif-al Islam Gheddafi: il figlio del colonnello
è ricercato dalla Corte penale internazionale, ma le autorità vorrebbero giudicarlo
in patria, dove rischia la pena di morte. Davide Maggiore ha raccolto l’opinione
di Fausto Pocar, già presidente della Corte Onu per l'ex Jugoslavia e attualmente
componente del Tribunale d'Appello per il Rwanda:
R. - La situazione
della Libia è stata riferita alla Corte penale internazionale dal Consiglio di Sicurezza
con la prima risoluzione che lo stesso ha adottato. Le indagini sono state fatte dal
procuratore della Corte penale. Bisogna però tenere presente che lo statuto della
Corte penale internazionale prevede l’intervento della Corte solo a titolo sussidiario,
a titolo complementare. La giurisdizione spetta primariamente agli Stati e quindi
dipende se lo Stato libico sarà in condizione e avrà la volontà di giudicare direttamente
i responsabili di violazione del diritto. Se lo facesse - e aggiungo lo facesse con
processi equi - non ci sarebbe ragione di un intervento della Corte. Ritengo che forse
ci sia qualche problema a questo riguardo, tenuto conto che - come sappiamo - crimini
sono stati commessi non solo da esponenti del regime ma anche da coloro che hanno
combattuto per liberarsi dal regime.
D. - Le nuove autorità di Tripoli,
inoltre, hanno ricevuto in visita il presidente sudanese Omar al-Bashir, ricercato
all’Aja per crimini contro l’umanità. È il segnale di un possibile rapporto critico
con le istituzioni internazionali?
R. - Spero si sia trattato di un
semplice episodio. La Libia non era tenuta ad arrestare Bashir perché non ha ratificato
lo statuto della Corte. Poteva essere costretta nell’ambito di una collaborazione
dovuta al Consiglio di Sicurezza. È più problematico il fatto che altri Paesi africani
abbiano ricevuto Bashir pur avendo ratificato lo statuto della Corte, essendo, in
questo caso, tenuti ad arrestarlo.
D. - Anche dopo la fine formale delle
ostilità, la Libia resta un Paese diviso e le milizie sono ancora potenti: attraverso
la via giuridica, può esserci una strada per la riconciliazione?
R.
- Una strada di riconciliazione c’è sempre. Il problema è che ci sia una volontà di
riconciliazione, che non ci siano troppi interessi contrastanti. Credo che la situazione
libica sia lungi dall’essere risolta all’interno. Mi auguro che la parte costituita
dalle milizie non prenda il sopravvento.
D. - In che modo la comunità
internazionale potrebbe affiancare le autorità di Tripoli nella costruzione di istituzioni
giuridiche funzionanti, che sono tra le basi di uno Stato stabile?
R.
- Credo che la comunità internazionale debba proporsi l’impegno di costituire uno
Stato funzionante perché non dimentichiamo che è intervenuta a smantellare un sistema
precedente. È vero che questo era basato sulla violenza, però è anche vero che si
è creata una situazione instabile. Quindi sarà compito della comunità internazionale,
dopo essere intervenuta, fare tutto il possibile per questo. Credo si tratti di una
questione non tanto di aiuti economici perché il Paese non è un Paese povero, anzi
la Libia è un Paese fondamentalmente ricco rispetto all’entità della popolazione;
piuttosto, penso, sia forse un problema di partenariato che permetta di creare una
struttura pienamente democratica. (bi)