Il vescovo di Pistoia a Dakar per aiutare le famiglie dei senegalesi uccisi a Firenze
Una visita nel segno della solidarietà, ricambiata da un calore umano che colpisce
e commuove. Con queste parole il vescovo di Pistoia, mons. Mansueto Bianchi,
ricorda il suo recente incontro avuto a Dakar con le famiglie dei due senegalesi uccisi,
il 13 dicembre scorso a Firenze, dall’estremista di destra Gianluca Casseri, originario
di Pistoia. Il presule ha offerto aiuti economici alle famiglie delle vittime e il
sostegno allo studio per i figli delle due vittime. Il presule è stato raggiunto telefonicamente
a Dakar da Amedeo Lomonaco:
R. – L’omicida
e poi suicida era pistoiese. L’incontro con le famiglie è stato caratterizzato da
altissima commozione e tensione umana. Purtroppo, abbiamo dovuto testimoniare un senso
di sgomento e di vergogna della nostra città, di fronte a un gesto di questo genere.
Il significato dell’incontro è stato questo: riscattare la dignità di una città, offesa
dal comportamento di un suo cittadino, e dall’altro anche dare un gesto di speranza,
di coraggio a queste famiglie, che hanno certamente visto reciso il loro filo di speranza,
soprattutto per i figli.
D. – Davanti ai volti di queste famiglie, come
lei ha scritto, ci si accorge di quanto siano vuoti e controproducenti certi modi
di pensare, di parlare, che mettono gli immigrati sotto il segno del sospetto, della
diffidenza...
R. – Quando si incontrano dei volti, delle vite, ci si
rende conto della devastazione che certi comportamenti creano. Ma ci si rende anche
conto che questi comportamenti non nascono dal niente, bensì da un sostrato fatto
anche di ideologie, di orientamenti politici, culturali… In certi momenti, questo
sostrato è fatto anche di parole in libera uscita, che magari sono molto “tranchant”
nel giudizio. E questi vengono recepiti e vissuti in una maniera assolutamente devastante,
sia da parte di quelle psicologie deboli o esaltate – che poi arrivano a compiere
gesti idi questa portata – sia da parte delle persone a cui sono rivolti: penso agli
immigrati, soprattutto alle persone di colore presenti in mezzo a noi. In Italia,
sentirsi trattare con quei toni, con quelle valutazioni, certamente non incoraggia
verso percorsi di dignità.
D. – Questo incontro vuole anche essere una
sorta di gemellaggio tra due comunità...
R. – Questo, per così dire,
mi pare un fiore che nasce nel deserto di certi gesti di speranza. Abbiamo incontrato
queste famiglie che sono venute incontro a noi con una grande dignità, con un dolore
molto composto. Commuovevano, tutti si erano messi il vestito buono... Abbiamo cercato
di fare un gesto concreto, immediato di solidarietà, di aiuto nei loro confronti e
c’è stata l’assunzione di un impegno nei confronti dei figli: ad esempio, una bimba
di 13 anni che il padre non aveva mai veduto perché era sempre stato in Italia. Avrebbe
dovuto vederlo proprio in questi mesi, al suo ritosno in Senegal. Invece non ha fatto
in tempo. Poi, un altro bambino di cinque anni… Un gesto per vedere se ipotizzare
e concretizzare un’adozione distanza per aiutare a questi bambini nel percorso scolastico.
Il clima della nostra presenza qui è stato abbastanza triste, ma anche aperto alla
speranza. Soprattutto ci ha fatto tanto, tanto crescere nel senso della responsabilità.
(bi)