Dopo gli attacchi ai cristiani iniziati nel giorno di Natale, in Nigeria si contano
ancora morti ma si tratta di 5 vittime di scontri tra manifestanti e forze dell’ordine.
Ieri è stato il primo giorno di uno sciopero generale contro il rincaro della benzina.
I manifestanti sono scesi nelle strade a migliaia, dalla capitale economica Lagos
alla capitale amministrativa Abuja, alla megalopoli del nord Kano. Proprio a Kano,
un manifestante è rimasto ucciso dagli spari della polizia e un bambino di 9 anni
è morto calpestato dalla folla. A Lagos, nel sud, sono morti tre giovani. Il prezzo
della benzina è raddoppiato perché sono stati cancellati i sovvenzionamenti statali.
I tagli rientrano in una nuova politica economica avviata nel Paese più popoloso dell’Africa.
Fausta Speranza ne ha parlato con l’africanista Aldo Pigoli, docente
all’Università cattolica di Milano:
R. – Questo
rincaro è fondamentalmente dovuto all’adozione di una politica economica interna volta
ad una razionalizzazione generale. In particolar modo, è dovuto al taglio dei costi,
tra cui appunto quelli relativi al mantenimento di sussidi – come quello per i prodotti
e i carburanti – che ha sempre caratterizzato la politica economica del Paese, così
come per altri Paesi produttori ed esportatori di petrolio e gas naturale. L’analisi
della situazione economica nigeriana mostra come il mantenimento dei sussidi sia diventato
sempre più insostenibile per quanto riguarda il bilancio dello Stato. Il presidente,
Jonathan Goodluck, è impegnato da diverso tempo nella razionalizzazione della gestione
economica del Paese. Egli da un lato tenta di svincolarsi dal solo settore petrolifero
e degli idrocarburi – e quindi di rilanciare un po’ l’economia del Paese in generale,
soprattutto dal lato della produzione e della diversificazione delle attività produttive
- mentre dall’altro lato deve far sì che il bilancio dello Stato sia in grado di sviluppare
una serie di progetti di natura socio-economica. Progetti che riguardano, ad esempio,
l’investimento sull’educazione e sul settore sanitario, per permettere quindi a lungo
termine un miglioramento degli standard di vita e delle condizioni economico-sociali
della gran parte della popolazione nigeriana, che vive al di sotto della soglia di
povertà.
D. – Il punto però è che i tagli ai sussidi colpiscono ora
una popolazione la cui maggioranza vive con meno di due dollari al giorno…
R.
– Certo, certo. La Nigeria è la seconda potenza economica africana e le proiezioni
la danno come prima potenza economica africana – andando quindi a superare addirittura
il Sud Africa – entro il 2020. Questo, però, non vuol dire che i nigeriani stiano
bene: gran parte dei circa 150 milioni di essi vive in una situazione sia di povertà
diffusa o estrema, sia di scarso accesso ai servizi basilari, quali appunto l’educazione,
i servizi socio-sanitari, l’acqua potabile e così via.
D. – In tutto
questo, ci sono stati i massacri di Natale contro i cristiani e vari attacchi nei
giorni seguenti. Il presidente Jonathan ha accusato elementi interni all’apparato
statale di appoggiare e coprire gli integralisti islamici del gruppo Boko Haram che
purtroppo abbiamo imparato a conoscere dopo il massacro di Natale. Che cosa si può
dire riguardo questa tensione sociale, dove si mischiano etnie, religioni, ma soprattutto
questioni economiche…
R. – Qualsiasi rivendicazione di natura religiosa
ed etnica nasconde un po’ in tutta l’Africa subsahariana dinamiche di natura politico-economica
legate alle risorse. Anche se si deve tener presente che la gran parte della ricchezza
petrolifera della Nigeria dipende dalle regioni meridionali, soprattutto dalla famosa
regione del Delta del Niger, mentre gli attacchi ci sono stati al Nord.
D.
– Abbiamo la preoccupazione del presidente Jonathan, il quale ha espressamente affermato
che la situazione è anche più grave rispetto a quella degli anni Sessanta, quando
c’è stata la guerra civile. Dobbiamo veramente pensare ad un rischio-destabilizzazione
di un Paese così grande e popoloso in Africa, qual è appunto la Nigeria?
R.
– Il problema di un’implosione della Nigeria c’è e c’è stato anche in altri periodi.
Pensiamo solo allo sciopero che stiamo vivendo adesso: si era verificato già nel 2003
ed è stato molto forte, tanto da riuscire a bloccare il Paese. C’è stato il problema
– ancora persistente – del Delta del Niger e del movimento del Mend, c’è stata la
guerra degli anni Sessanta, quella separatista di fine anni ’60 ed inizi ’70. Questo
è un Paese molto importante per gli equilibri dell’Africa subsahariana e per lo sviluppo
futuro del continente. E’ un Paese molto importante anche per alcuni attori internazionali,
in primis gli Stati Uniti. Dire dunque che la Nigeria possa implodere dall’oggi al
domani, credo sia abbastanza prematuro ed anche un po’ forzato. Sicuramente, però,
la situazione in Nigeria va tenuta in considerazione e sotto controllo. (vv)