2012-01-10 17:22:04

Norvegia: incontro del Consiglio europeo di “Religioni per la pace” sulla Primavera araba


L’importanza delle religioni nella costruzione del post "primavera araba". Se ne parla in un Convegno promosso dall’organizzazione internazionale "Religions for Peace", che vede riuniti fino ad oggi, in Norvegia, rappresentanti religiosi del Medio Oriente, del Nord Africa e dell’Europa. "Bisogna essere profeti di perseveranza anche in tempi di disperazione e di conflitto", ha affermato stamattina il vescovo emerito di Oslo, Gunnar Stalsett, intervenendo al Convegno. Ma come possono le comunità religiose e i loro leader intervenire in un processo in costruzione come quello dei Paesi della primavera araba, ancora sconvolti dalla violenza e dagli scontri? Francesca Sabatinelli lo ha chiesto a Luigi De Salvia, segretario generale della sezione italiana di "Religions for Peace":RealAudioMP3

R. – Possono intervenire nel rapporto con le comunità, per portare al centro il tema del rispetto reciproco della tolleranza, nel senso positivo, del rispetto delle minoranze, e questo può essere efficace perché, insieme, portano avanti questi discorsi che si basano su valori condivisi: i valori della persona, della vita anche nelle sue espressioni più significative – quindi la libertà di coscienza, la libertà religiosa – e poi anche la questione dei metodi, cioè il rifiuto, per quanto sia possibile, della violenza.

D. – Ma il messaggio dei leader religiosi riuniti in Norvegia tiene conto del fatto che si rivolge a giovani e donne – soprattutto – che nei loro Paesi stanno lottando per la libertà, per il rispetto dei diritti umani, e anche contro la povertà?

R. – Certo. Questa è anche la ragione centrale di un movimento come “Religions for Peace” e di movimenti analoghi, ossia quella della lotta alla povertà e la lotta per i diritti umani, che “pretende” di avere un retroterra importante, che è quello del valore in sé della vita umana. Quindi, non un semplice mettersi d’accordo su certi principi in modo convenzionale.

D. – Nel discorso al Corpo diplomatico presso la Santa Sede, Benedetto XVI ha ricordato la grave situazione dei cristiani in Nigeria, ha chiesto che il mondo si mobiliti per sostenerli. E, soprattutto, ha chiesto il rispetto dei membri di tutte le etnie, di tutte le religioni. Abbiamo visto a Natale una fortissima recrudescenza della violenza in Nigeria: stiamo assistendo all’ennesimo tentativo di esercitare violenza usando il nome di Dio?

R. – Nella contrapposizione spesso abbiamo bisogno di una ragione per esercitare violenza: a questo si presta in modo abusivo anche un riferimento alla religione, un riferimento alla propria religione, demonizzando gli altri. Questa componente non va sottovalutata, non è solo strumentale. Lo sforzo del dialogo e della cooperazione tra le religioni che 25 anni fa ebbe quel momento storico ad Assisi, promosso da Giovanni Paolo II, è veramente un antidoto a tutto questo. E ha avuto un ruolo in tutta una serie di situazioni, e ne avrà ancora di più. Anche se non c’è un modo facile per eliminare tutto questo, ma la delegittimazione dell’uso della violenza in nome della religione è un fatto acquisito. Diciamo che, di per sé, non riesce a eliminare ogni esplosione, ma è un riferimento sicuro anche poi quando si tratterà di costruire la riconciliazione. (gf)







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