Norvegia: incontro del Consiglio europeo di “Religioni per la pace” sulla Primavera
araba
L’importanza delle religioni nella costruzione del post "primavera araba". Se ne parla
in un Convegno promosso dall’organizzazione internazionale "Religions for Peace",
che vede riuniti fino ad oggi, in Norvegia, rappresentanti religiosi del Medio Oriente,
del Nord Africa e dell’Europa. "Bisogna essere profeti di perseveranza anche in tempi
di disperazione e di conflitto", ha affermato stamattina il vescovo emerito di Oslo,
Gunnar Stalsett, intervenendo al Convegno. Ma come possono le comunità religiose e
i loro leader intervenire in un processo in costruzione come quello dei Paesi della
primavera araba, ancora sconvolti dalla violenza e dagli scontri? Francesca Sabatinelli
lo ha chiesto a Luigi De Salvia, segretario generale della sezione italiana
di "Religions for Peace":
R. – Possono
intervenire nel rapporto con le comunità, per portare al centro il tema del rispetto
reciproco della tolleranza, nel senso positivo, del rispetto delle minoranze, e questo
può essere efficace perché, insieme, portano avanti questi discorsi che si basano
su valori condivisi: i valori della persona, della vita anche nelle sue espressioni
più significative – quindi la libertà di coscienza, la libertà religiosa – e poi anche
la questione dei metodi, cioè il rifiuto, per quanto sia possibile, della violenza.
D.
– Ma il messaggio dei leader religiosi riuniti in Norvegia tiene conto del fatto che
si rivolge a giovani e donne – soprattutto – che nei loro Paesi stanno lottando per
la libertà, per il rispetto dei diritti umani, e anche contro la povertà?
R.
– Certo. Questa è anche la ragione centrale di un movimento come “Religions for Peace”
e di movimenti analoghi, ossia quella della lotta alla povertà e la lotta per i diritti
umani, che “pretende” di avere un retroterra importante, che è quello del valore in
sé della vita umana. Quindi, non un semplice mettersi d’accordo su certi principi
in modo convenzionale.
D. – Nel discorso al Corpo diplomatico presso
la Santa Sede, Benedetto XVI ha ricordato la grave situazione dei cristiani in Nigeria,
ha chiesto che il mondo si mobiliti per sostenerli. E, soprattutto, ha chiesto il
rispetto dei membri di tutte le etnie, di tutte le religioni. Abbiamo visto a Natale
una fortissima recrudescenza della violenza in Nigeria: stiamo assistendo all’ennesimo
tentativo di esercitare violenza usando il nome di Dio?
R. – Nella contrapposizione
spesso abbiamo bisogno di una ragione per esercitare violenza: a questo si presta
in modo abusivo anche un riferimento alla religione, un riferimento alla propria religione,
demonizzando gli altri. Questa componente non va sottovalutata, non è solo strumentale.
Lo sforzo del dialogo e della cooperazione tra le religioni che 25 anni fa ebbe quel
momento storico ad Assisi, promosso da Giovanni Paolo II, è veramente un antidoto
a tutto questo. E ha avuto un ruolo in tutta una serie di situazioni, e ne avrà ancora
di più. Anche se non c’è un modo facile per eliminare tutto questo, ma la delegittimazione
dell’uso della violenza in nome della religione è un fatto acquisito. Diciamo che,
di per sé, non riesce a eliminare ogni esplosione, ma è un riferimento sicuro anche
poi quando si tratterà di costruire la riconciliazione. (gf)