Il discorso del Papa al Corpo Diplomatico. I commenti del vescovo di Tunisi e del
sociologo Introvigne
“La crisi può e deve essere uno sprone a riflettere sull’esistenza umana e sull’importanza
della sua dimensione etica”: è uno dei passaggi forti del discorso che il Papa ha
rivolto ieri al Corpo Diplomatico. Al centro dell’intervento, che ha avuto ampia eco
a livello internazionale, è il rispetto della persona anche con riferimento ai fermenti
della “Primavera araba”. Al riguardo, Alessandro Gisotti ha intervistato il
vescovo di Tunisi, mons. Maroun Elias Lahham:
R. - La Tunisia
è stato il primo Paese a iniziare la “Primavera araba” fondata appunto sulla dignità
della persona umana, sul diritto al lavoro, alla libertà di espressione, alla libertà
di coscienza... Penso, dunque, che il messaggio del Papa valga anche per noi, anche
per la Tunisia, anche per la Chiesa. In Tunisia questo è importantissimo!
D.
- E' su questo punto del rispetto della dignità della persona, che si può rafforzare
il dialogo tra cristiani e musulmani?
R. - Certo. Perché questi sono
i punti comuni in Tunisia, un Paese musulmano che ha fatto la rivoluzione per salvaguardare
i diritti della persona umana. Il messaggio del Santo Padre va in questo senso. Questo
è un terreno fecondissimo per un futuro dialogo…
D. - Il Papa ha anche
messo l’accento sulla crisi economica e ci ha ricordato che non solo i Paesi sviluppati
soffrono, anzi, molto di più soffrono i Paesi in difficoltà, in via di sviluppo…
R.
– Certo! Adesso, con la globalizzazione, nessuno soffre da solo. Per la Tunisia questa
sarà ancora un’altra sfida. La Tunisia ha sempre contato sull’aiuto dell’Europa e
dell’Occidente per rilanciare la sua economia. Adesso che l’Europa soffre, sarà una
sfida doppia, perché se l’economia non va e non c’è un minimo di benessere umano,
la persona umana soffre anche nei suoi aspetti più normali.
D. - Il
discorso del Papa ha affrontato tanti problemi, tante ombre... il Pontefice ha anche
detto che non bisogna scoraggiarsi...
R. - Io sono d’accordissimo con
il Santo Padre perché la storia va sempre verso il meglio, perché Dio è il Signore
della storia, e dunque le difficoltà sono sempre difficoltà, però non bisogna mai
scoraggiarsi. L’umanità deve avanzare. (bi)
Un altro tema sottolineato
nel discorso al Corpo Diplomatico è stato il rispetto della libertà religiosa definito
dal Papa “il primo dei diritti umani”. Un’affermazione su cui si sofferma il sociologo
Massimo Introvigne e già rappresentante dell'Osce per la lotta contro le discriminazioni
anticristiane. L’intervista è di Fabio Colagrande:
R. - Penso
che l’affermazione del Papa ne contenga tre: la prima è che si continuano ad uccidere
i cristiani. Le cifre, che nel corso del mio mandato all’Osce ho spesso ricordato,
sono quelle di un vero e proprio genocidio: 105 mila morti all’anno, uno ogni cinque
minuti. Il secondo fenomeno di cui il Papa ci parla, è quello della pulizia religiosa,
che assomiglia molto alla pulizia etnica, attraverso costellazioni di attentati terroristici,
che certamente non riescono ad eliminare le comunità in un Paese, ma le spaventano
a tal punto da indurre la maggioranza dei cristiani a emigrare, a fuggire. Il terzo
fenomeno è l’emarginazione dei cristiani dalla vita politica attraverso una serie
di strumenti che comprendono anche la diffamazione e la ridicolizzazione, e questo
si verifica anche in Occidente. Qui naturalmente, il Papa ricollega la parte così
importante sulla libertà religiosa del suo discorso, ad altre parti che riguardano
la famiglia, la libertà di educazione e la vita.
D. - È importante,
secondo Lei, che Benedetto XVI ne abbia parlato proprio con gli ambasciatori accreditati
presso la Santa Sede?
R. - È molto importante. Devo dire che nel mio
anno di mandato all’Osce che si è concluso, ho visto come questo sia utilissimo, e
come la diplomazia della Santa Sede svolga un ruolo fondamentale.
D.
- Il Papa ha aggiunto che la libertà religiosa, il primo dei diritti umani, ha una
triplice dimensione: individuale, collettiva e istituzionale…
R. - Credo
che questo sia molto importante. Una sottolineatura che vale sia per alcuni Paesi
in via di sviluppo, dove si fanno solenni affermazioni quanto alla libertà religiosa
dove la si intende semplicemente come un diritto individuale: ognuno è libero di
credere quello che vuole, ma poi se la Chiesa, per esempio, intende manifestarsi pubblicamente,
attraverso la pubblicazione di giornali o aprendo scuole, in quel caso allora la libertà
religiosa non c’è più. Ma questo naturalmente vale anche per il nostro Occidente dove
circolano teorie giuridiche piuttosto pericolose che riducono la libertà religiosa
alla mera libertà di coscienza. Affinché ci sia piena libertà religiosa, è necessario
anche che sia riconosciuto alla Chiesa il diritto di aprire istituzioni, comprese
le scuole. E bisogna anche che vi siano dei riconoscimenti istituzionali, soprattutto
nei Paesi di antica tradizione cristiana, dell’importanza del ruolo che da secoli,
da millenni, la Chiesa svolge. (bi)