Assad annuncia aperture democratiche, ma le violenze continuano: oltre 25 morti
Il presidente siriano Assad è apparso stamattina in tv per pronunciare un attesissimo
discorso alla nazione. Negando il ricorso alla violenza, ha parlato di un complotto
internazionale. Annunciate, inoltre, le elezioni tra marzo e giugno, mentre il referendum
sulla Costituzione dovrebbe tenersi a marzo. Ma la repressione continua: oltre 25
le vittime di oggi, tra cui una bimba di un anno. Ce ne parla Salvatore Sabatino:
Una difesa
a spada tratta del proprio operato, puntando sulle riforme necessarie da adottare
per modernizzare il Paese. Assad, in tv, è apparso perentorio nel suo atto di accusa
contro il complotto in atto da parte di non meglio precisate potenze straniere, convinto
che il lavoro da svolgere riguardi due fronti: la riforma politica e la lotta al terrorismo,
senza dimenticare che i problemi del Paese vanno affrontati dall’interno. Poi un attacco
diretto alla Lega Araba; "Non è mai stata con noi – ha affermato – e ha permesso la
diffusione di notizie false sulle tv satellitari contro di noi". L’organismo panarabo
è stato definito “ipocrita ed incapace di diffondere la democrazia”. Il presidente,
poi, ha smentito di aver dato l’ordine di aprire il fuoco contro i manifestanti, mentre
ha invitato i siriani a resistere, perché “la vittoria è vicina”. Infine due annunci
importanti: il primo sull’allargamento del governo a nuove forze politiche, la seconda
che riguarda la “nuova Costituzione, che garantirà ampie libertà nel Paese”.
Il
presidente siriano Assad ha attaccato aspramente la Lega Araba, accusata di ipocrisia
e di incapacità di operato sul fronte della diffusione della democrazia. Quanto questa
spaccatura potrà influire sugli equilibri tra Damasco ed il mondo arabo? Salvatore
Sabatino lo ha chiesto ad Alberto Ventura, docente di Storia dei Paesi
islamici dell’Università della Calabria:
R. – La
spaccatura è già avvenuta: direi, ancor più in generale, che è il mondo arabo stesso
che denuncia in modo così esplicito ormai una impotenza molto forte, da tutti i punti
di vista. Il panarabismo, che era stato vagheggiato nel secolo scorso, è tramontato
con la fine dei nazionalismi socialistezzanti alla Nasser; ma oggi tramonta anche
quel po’ di arabismo che poteva rimanere. La regione è ormai totalmente in preda a
influenze di carattere esterno: sono la Turchia e l’Iran, casomai i Paesi non arabi,
che vantano in un certo senso un primato nella regione e che vogliono mantenerlo per
motivi diversi e naturalmente con intenzioni opposte, togliendo praticamente agli
arabi la possibilità di rappresentare un’alternativa credibile.
D.
– Assad appare sempre più isolato anche sul fronte interno: l’allargamento del governo
a nuove forze politiche, così come annunciato dallo stesso presidente questa mattina,
può aiutarlo a mantenere ancora il potere?
R. – Credo che quelli che
sta facendo il presidente siriano siano tentativi un po’ disperati, per cercare di
recuperare un po’ di autorevolezza e credibilità. Non mi sembra di poter dire che
possano avere un qualche effetto decisivo da questo punto di vista. La credibilità
di Assad è tenuta in piedi da una schiera di sostenitori, da alcuni posizionamenti
internazionali che influiscono su alcuni elementi della popolazione siriana, che è
molto composita anche dal punto di vista etnico e religioso e che talvolta si schiera
pro o contro il governo per motivi che non hanno nulla a che vedere con le politiche
intrinseche dell’esecutivo stesso. La situazione, a me, sembra sia ormai irrecuperabile
per il governo e che si tratti soltanto di rimandare una caduta che prima o poi dovrà
necessariamente avvenire: ma non sappiamo in che modo e soprattutto se questo modo
sarà indolore.
D. – La repressione che in questi dieci mesi ha provocato
migliaia di morti non verrà certo dimenticata dalla popolazione siriana: le aperture
annunciate verso una democratizzazione del Paese saranno possibili in un clima del
genere?
R. – Nell’82 ci fu già un massacro in Siria e al quale, qui
in Occidente, si è dato – tutto sommato - poco spazio. La città di Hama, che si era
ribellata al governo all’epoca, fu di fatto rasa al suolo: le stime più pessimistiche
parlarono di 38 mila morti in quel caso e in pochissimo tempo. Diciamo che in un certo
senso il popolo siriano ha già "digerito" questo tipo di ferite: Assad nel suo discorso
ha parlato di una cicatrice sul cuore quello che sta succedendo nel suo Paese, ma
credo che agli occhi del popolo questa cicatrice non sia particolarmente significativa,
perché suo padre aveva condotto questa brutale repressione e tutto questo è rimasto
ben vivo nella coscienza dei siriani, che quindi accumulano – se vogliamo – un senso
di frustrazione su una frustrazione che era avvenuta poi non moltissimi anni fa. (mg)