Ahmadinejad in America Latina. Sale la tensione tra Iran e USA
“C’è la volontà di continuare a lavorare insieme per frenare la follia imperialista
che pretende di controllare il Pianeta”. Così il presidente venezuelano Chavez, ricevendo
ieri a Caracas l’omologo iraniano Ahmadinejad, impegnato in un tour diplomatico in
America Latina; viaggio che giunge in un momento di grande tensione con la comunità
internazionale per il programma nucleare di Teheran. Ma quali le motivazioni alla
base di questa delicata trasferta? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Riccardo Redaelli,
docente di Geopolitica presso l’Università Cattolica di Milano:
R. - Vi sono
diverse motivazioni: in primo luogo, Ahmadinejad, fin dalla sua prima elezione nel
2005, ha sempre amato questi tour diplomatici in vari Paesi. In secondo luogo - in
un momento in cui l’Iran si percepisce isolato, in cui l’Occidente cerca di metterlo
nell’angolo - ogni possibile contatto, ogni rapporto bilaterale va rinfrancato. E
tradizionalmente l’America Latina è un posto dove ci sono soprattutto alcuni degli
alleati storici, come il presidente Chavez in Venezuela, o Cuba. E l’Iran punta a
diversificare, a rafforzarsi sulla scena internazionale, rispondendo alle pressioni
occidentali, attraverso queste iniziative verso i Paesi non allineati: Paesi latinoamericani,
africani e asiatici.
D. - Molti osservatori sostengono che questa visita sia
legata proprio al nucleare, una sorta di raccolta di consensi per poter procedere
sulla strada dell’atomica… Un’analisi che lei condivide?
R. - Personalmente,
no. Evidentemente, l’Iran è molto attivo - pensando alle nuove decisioni Onu e quindi
a nuove sanzioni sul nucleare - ma in realtà le decisioni non le prende l’assemblea
Onu in cui contano i Paesi non allineati, i Paesi latinoamericani: le prende il Consiglio
di sicurezza e soprattutto le prendono le grandi potenze che sono tutte impegnate
con il cosiddetto “gruppo dei 5+1” nella trattativa.
D. - Ahmadinejad continua
a lanciare proclami contro gli Stati Uniti, che però escludono un’azione militare
contro la Repubblica islamica. Quanto influisce il clima elettorale americano su questa
questione?
R. - Influisce molto, perché gli anni elettorali a Washington come
a Theran sono di solito terribili per la serietà dei rapporti e degli sforzi diplomatici.
A Washington c’è una fortissima pressione su Obama da parte del Partito repubblicano
e varie lobbies, affinché accentui la linea dura contro Theran. Teheran, da parte
sua, regisce rinfocolando le tensioni. Non dimentichiamoci che Ahmadinejad gioca anche
una sua partita: a marzo ci sono le elezioni parlamentari e lì ci sarà uno scontro
non più fra conservatori e riformisti – dato che questi ultimi sono stati spazzati
via dalla repressione - ma all’interno dei conservatori, ossia gli ultra-radicali
di Ahmadinejad contro i conservatori tradizionali legati al leader supremo, l’ayatollah
Ali Khamenei. Anche in questo caso, allora, la politica estera serve ad avvantaggiare
uno dei contendenti interni. (bi)
E intanto continua a crescere la tensione
tra Iran e Stati Uniti. Per Washington l'avvio dell'arricchimento dell'uranio da parte
dell’Iran presso l'impianto di Fordow, annunciato ieri dall’Aiea, costituisce una
''nuova escalation'' nelle violazioni di Teheran delle risoluzioni Onu. Sempre ieri
è stato condannato a morte, con l’accusa di spionaggio, un cittadino statunitense
– di origine iraniana – arrestato nei mesi scorsi con l’accusa di “collaborazione
con un Paese ostile”. Dura la reazione della Casa Bianca.