2012-01-10 08:02:16

Ahmadinejad in America Latina. Sale la tensione tra Iran e USA


“C’è la volontà di continuare a lavorare insieme per frenare la follia imperialista che pretende di controllare il Pianeta”. Così il presidente venezuelano Chavez, ricevendo ieri a Caracas l’omologo iraniano Ahmadinejad, impegnato in un tour diplomatico in America Latina; viaggio che giunge in un momento di grande tensione con la comunità internazionale per il programma nucleare di Teheran. Ma quali le motivazioni alla base di questa delicata trasferta? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica presso l’Università Cattolica di Milano:

R. - Vi sono diverse motivazioni: in primo luogo, Ahmadinejad, fin dalla sua prima elezione nel 2005, ha sempre amato questi tour diplomatici in vari Paesi. In secondo luogo - in un momento in cui l’Iran si percepisce isolato, in cui l’Occidente cerca di metterlo nell’angolo - ogni possibile contatto, ogni rapporto bilaterale va rinfrancato. E tradizionalmente l’America Latina è un posto dove ci sono soprattutto alcuni degli alleati storici, come il presidente Chavez in Venezuela, o Cuba. E l’Iran punta a diversificare, a rafforzarsi sulla scena internazionale, rispondendo alle pressioni occidentali, attraverso queste iniziative verso i Paesi non allineati: Paesi latinoamericani, africani e asiatici.

D. - Molti osservatori sostengono che questa visita sia legata proprio al nucleare, una sorta di raccolta di consensi per poter procedere sulla strada dell’atomica… Un’analisi che lei condivide?

R. - Personalmente, no. Evidentemente, l’Iran è molto attivo - pensando alle nuove decisioni Onu e quindi a nuove sanzioni sul nucleare - ma in realtà le decisioni non le prende l’assemblea Onu in cui contano i Paesi non allineati, i Paesi latinoamericani: le prende il Consiglio di sicurezza e soprattutto le prendono le grandi potenze che sono tutte impegnate con il cosiddetto “gruppo dei 5+1” nella trattativa.

D. - Ahmadinejad continua a lanciare proclami contro gli Stati Uniti, che però escludono un’azione militare contro la Repubblica islamica. Quanto influisce il clima elettorale americano su questa questione?

R. - Influisce molto, perché gli anni elettorali a Washington come a Theran sono di solito terribili per la serietà dei rapporti e degli sforzi diplomatici. A Washington c’è una fortissima pressione su Obama da parte del Partito repubblicano e varie lobbies, affinché accentui la linea dura contro Theran. Teheran, da parte sua, regisce rinfocolando le tensioni. Non dimentichiamoci che Ahmadinejad gioca anche una sua partita: a marzo ci sono le elezioni parlamentari e lì ci sarà uno scontro non più fra conservatori e riformisti – dato che questi ultimi sono stati spazzati via dalla repressione - ma all’interno dei conservatori, ossia gli ultra-radicali di Ahmadinejad contro i conservatori tradizionali legati al leader supremo, l’ayatollah Ali Khamenei. Anche in questo caso, allora, la politica estera serve ad avvantaggiare uno dei contendenti interni. (bi)

E intanto continua a crescere la tensione tra Iran e Stati Uniti. Per Washington l'avvio dell'arricchimento dell'uranio da parte dell’Iran presso l'impianto di Fordow, annunciato ieri dall’Aiea, costituisce una ''nuova escalation'' nelle violazioni di Teheran delle risoluzioni Onu. Sempre ieri è stato condannato a morte, con l’accusa di spionaggio, un cittadino statunitense – di origine iraniana – arrestato nei mesi scorsi con l’accusa di “collaborazione con un Paese ostile”. Dura la reazione della Casa Bianca.








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