Myanmar: un possibile ruolo pubblico per Aung San Suu Kyi
La presidenza del Myanmar apre alla possibilità che Aung San Suu Kyi - premio Nobel
per la pace, leader dell'opposizione birmana e libera dal 2010 dopo anni di arresti
domiciliari - possa in futuro ricoprire un ruolo nel governo, se conquisterà un seggio
nelle elezioni suppletive del prossimo primo aprile, o comunque un posto di rilievo
nell’amministrazione pubblica. Ad affermarlo è Nay Zin Latt, consigliere della presidenza
del Paese asiatico, secondo cui il capo dello Stato, Thein Sein, punterebbe a consultazioni
“libere e giuste”. Nell’ottica di nuove aperture, negli ultimi mesi il governo del
Myanmar ha scarcerato diverse centinaia di prigionieri politici, ma - secondo alcuni
attivisti birmani riparati in Thailandia - altri mille sarebbero ancora dietro le
sbarre. In questo clima, che possibilità ci sono dunque che le autorità di Naypyidaw
aprano effettivamente ad un incarico pubblico per Aung San Suu Kyi? Giada Aquilino
ha intervistato Carlo Filippini, docente di Economia politica all’Università
Bocconi di Milano ed esperto di Asia orientale:
R. – Temo
che un incarico pubblico di qualche importanza sia un avvenimento ancora molto lontano
nel tempo. Pare certamente che i primi cambiamenti che si sono avuti dopo le elezioni
del 2010 e il nuovo governo - apparentemente civile, anche se formato da ex generali
che si sono tolti la divisa - siano l’inizio di un processo che, temo, richiederà
tuttavia ancora molto tempo. Nell’Asia orientale non si fa mai quasi nulla di fretta.
D.
– Le elezioni del prossimo aprile arrivano comunque quando ci sono state alcune timide
aperture in senso democratico: censura allentata, prigionieri politici rilasciati,
il "sì" alla candidatura di Aung San Suu Kyi alle prossime elezioni.
Però, di fatto, il Myanmar che Paese è?
R. – Il Paese è ancora strettamente
controllato dai militari. Sembra però che in ambito Asean, l’associazione dei Paesi
del Sudest asiatico, gli altri Paesi membri premano perché l’ex Birmania diventi un
po’ più democratica, o meglio un po’ più rispettabile agli occhi del mondo. Però dobbiamo
pensare più a un modello cinese che a un modello democratico all’occidentale, europeo
o americano.
D. - Alcuni media stranieri hanno parlato di “primavera
birmana”, ma il Myanmar è ancora un Paese in cui il reddito medio mensile è di 27
dollari. Da un punto di vista economico, che quadro se ne può tracciare?
R.
– Il Paese certamente è poverissimo e questo è anche un effetto delle politiche dei
precedenti governi militari birmani. Ad esempio, pur di assicurarsi l’appoggio di
Cina e India hanno svenduto le ricchezze naturali ed energetiche, soprattutto il petrolio.
In altre parole, la povertà è dovuta pure alle politiche che hanno privilegiato i
pochi sostenitori del regime, le forze armate e i fedeli del governo e che invece
hanno trascurato un po’ tutto il resto della popolazione.
D. - Allora,
in quale quadro vanno letti gli ultimi dati secondo cui starebbero arrivando più turisti
in Myanmar: da due anni i visitatori sarebbero cresciuti del 25 per cento…
R.
– La Birmania è un magnifico Paese, con natura ancora relativamente incontaminata
e con una tradizione artistica e religiosa che risale a secoli fa, se non a millenni.
Quindi, come destinazione turistica è certamente ideale. Purtroppo, finora era la
giunta militare che approfittava di ciò, imponendo sostanzialmente “taglieggiamenti”
su tutte le agenzie turistiche ed era difficile visitare il Paese attraverso tour
operator o agenzie turistiche che fossero indipendenti. Quindi, è certamente un fatto
positivo perché porta reddito e potrebbe accelerare i cambiamenti, anche se a mio
parere in Occidente ci illudiamo un po’ troppo sulle varie “primavere”. (bf)