2012-01-09 10:39:05

In Africa con la ricchezza crescono anche le sfide sul piano politico


Torniamo a parlare di crescita economica in Africa. Oltre alla questione di come trasformare la ricchezza di pochi in sviluppo per tutti e al problema dello sfruttamento delle risorse del continente da parte di Paesi esterni, bisogna parlare delle prospettive politiche. Fausta Speranza ha intervistato il prof. Giampaolo Calchi Novati, docente di storia moderna e contemporanea dell’Africa all’Università di Pavia:RealAudioMP3

R. – Se si guarda alla crescita del pil, probabilmente in molti Paesi africani c’è una crescita superiore all’aumento della popolazione, e questo dovrebbe rappresentare un progresso netto. Questo, evidentemente, non esclude forme di divisione, di differenze tra Stato e Stato e, soprattutto, grosse disuguaglianze – in realtà, maggiori, paradossalmente! – all’interno. E’ noto che il Sud Africa – una volta si diceva il Brasile – ma probabilmente oggi è il Sud Africa il Paese nel quale le disuguaglianze tra ricchi e poveri sono maggiori, in assoluto nel mondo, spesso con qualche sovrapposizione tra proprietà, ricchezza, benessere e posizione razziale.

D. – Purtroppo, va un po’ di moda dire che l’economia va per conto suo e non c’è abbastanza ‘governance’ politica per gestirla: questo vale per l’Occidente, per l’Unione Europea; e per l’Africa vale tanto più il rischio di una crescita economica fuori da ogni regola della politica …

R. – Probabilmente, il problema dell’Africa, rispetto ad altre regioni, è l’arretratezza del sistema politico, della capacità degli Stati di mantenere un ordine politico che sia in grado di mettere a frutto la crescita economica che, come si sa, è anche piuttosto schiacciata sulla divisione del lavoro di origine “coloniale”, cioè ancora in Africa i Paesi che crescono di più, con qualche eccezione come forse soprattutto il Sud Africa, riprendono, ricopiano ancora il sistema di esportazione di prodotti primari e grande dipendenza da capitali, tecnologia e anche governance dall’esterno. Sicuramente credo che si possa dire che per l’Africa questa crescita è una sfida per la sua capacità di governare.

D. – Tra i rischi di queste presenze esterne, c’è anche quello del terrorismo internazionale …

R. – Sì: purtroppo, quando l’Africa ha incominciato a praticare il principio – prima a dichiararlo, a proclamarlo e poi, in pratica, cercando anche di praticarlo – della soluzione africana alle crisi africane, si è trovata di fronte a crisi che non sono più “solo” africane: molti dei conflitti hanno ormai una rilevanza internazionale ed extra-africana. In particolare, l’Africa è una specie di confine del conflitto a scala mondiale: per esempio, viene sintetizzato nell’espressione della “War on Terror”: il Sahara è un confine tra Africa araba e Africa nera, ma è soprattutto un confine dove passa una specie di contrasto-confronto con relativa militarizzazione dello scontro tra mondo occidentale e quella nebulosa che viene definita “islamismo politico”. Non necessariamente al Qaeda, ma qualcosa che possa essere o strumentalizzato o avvicinato o confuso con al Qaeda. E’ un confine molto evidente che ha portato da una parte alla militarizzazione della zona sahariana, che è una zona tendenzialmente e tradizionalmente di passaggio e quasi di passaggio libero – lecito o illecito che sia – perché i confini sono mal segnati, le autorità sono abbastanza nebulose … Questo non è più vero, e questo naturalmente ostacola la libertà di movimento ed è causa, essa stessa, di brigantaggio e altre forme che sono paradossalmente in linea con la instabilità e la militarizzazione che si vorrebbe, invece, evitare. Anche la stessa influenza cinese non è del tutto indolore: diciamo che la stessa crisi in Libia è stata forse – se non del tutto, almeno in parte – determinata da una volontà di potenze europee di bloccare l’espansione cinese almeno in questa parte del continente. L’Africa, oggi, è di fatto il terreno dello scontro a livello mondiale, molto più che altre regioni del mondo, compreso il Medio Oriente dove, in un certo senso, la stessa Cina non osa sfidare apertamente gli Stati Uniti. In Africa, invece, la competizione è aperta. (gf)







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