Il Papa al Corpo diplomatico in Vaticano: rispettare l'uomo per costruire la pace
e risolvere la crisi economica
Per uscire dalla crisi economica e costruire la pace nel mondo, bisogna mettere al
centro la persona umana: questo, in sintesi, il messaggio che Benedetto XVI ha lanciato
alla comunità internazionale, all’inizio del 2012, ricevendo stamani nella Sala Regia
del Palazzo Apostolico i membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa
Sede. Il Papa ha pronunciato un articolato ed appassionato discorso toccando tutti
i principali temi dell’attualità internazionale. Di seguito, la versione italiana
del testo integrale del discorso pronunciato da Benedetto XVI in lingua francese:
Eccellenze,
Signore e Signori!
È per me sempre un’occasione particolarmente
gradita potervi accogliere, distinti Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso
la Santa Sede, nella splendida cornice di questa Sala Regia, per formularvi personalmente
fervidi auguri per l’anno che inizia. Ringrazio anzitutto il vostro Decano, l’Ambasciatore
Alejandro Valladares Lanza, come pure l’Ambasciatore Jean-Claude Michel, per le deferenti
parole con cui si sono fatti interpreti dei vostri sentimenti, e saluto in modo speciale
quanti partecipano per la prima volta a questo nostro incontro. Attraverso di voi,
il mio augurio si estende a tutte le Nazioni che rappresentate, con le quali la Santa
Sede mantiene relazioni diplomatiche. E’ una gioia per noi che la Malesia si sia aggiunta
a questa comunità nel corso dell’anno appena concluso. Il dialogo che voi intrattenete
con la Santa Sede agevola la condivisione di impressioni e di informazioni, come pure
la collaborazione in ambiti di carattere bilaterale o multilaterale che sono di particolare
interesse. La vostra presenza odierna ricorda l’importante contributo della Chiesa
alle vostre società, in settori quali l’educazione, la sanità e l’assistenza. Segni
della cooperazione tra la Chiesa Cattolica e gli stati sono gli Accordi stipulati
nel 2011 con l’Azerbaigian, il Montenegro e il Mozambico. Il primo è già stato ratificato;
auspico che rapidamente accada lo stesso per gli altri due e che si giunga alla conclusione
di quelli che sono in via di negoziazione. Ugualmente, la Santa Sede desidera tessere
un dialogo fruttuoso con le Organizzazioni internazionali e regionali e, in questa
prospettiva, rilevo con soddisfazione che i Paesi membri dell’Associazione delle Nazioni
del Sud-Est Asiatico (A.S.E.A.N.) hanno accolto la nomina di un Nunzio Apostolico
accreditatopresso questa Organizzazione. Non posso omettere
di menzionare che, nello scorso mese di dicembre, la Santa Sede ha rafforzato la sua
lunga collaborazione con l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, diventandone
membro a pieno titolo. Si tratta di un attestato dell’impegno della Santa Sede e della
Chiesa Cattolica al fianco della Comunità internazionale, nella ricerca di soluzioni
adeguate a questo fenomeno che presenta molteplici aspetti, dalla protezione della
dignità delle persone alla cura del bene comune delle comunità che le ricevono e di
quelle da cui provengono. Nel corso dell’anno appena terminato ho incontrato
personalmente numerosi Capi di Stato e di Governo, come pure Autorevoli rappresentanti
delle vostre Nazioni che hanno partecipato alla cerimonia di Beatificazione del mio
amato Predecessore, il Papa Giovanni Paolo II. Rappresentanti dei vostri Paesi si
sono poi resi gentilmente presenti in occasione del 60° anniversario della mia Ordinazione
sacerdotale. A tutti loro, come pure a quanti ho incontrato nei miei viaggi apostolici
in Croazia, a San Marino, in Spagna, in Germania ed in Benin, rinnovo la mia gratitudine
per la delicatezza che mi hanno manifestato. Inoltre, indirizzo un particolare pensiero
ai Paesi dell’America Latina e dei Caraibi che, nel 2011, hanno festeggiato il bicentenario
della loro indipendenza. Il 12 dicembre scorso, essi hanno voluto sottolineare il
loro legame con la Chiesa Cattolica e con il successore del Principe degli Apostoli
partecipando, con alti esponenti della comunità ecclesiale e autorità istituzionali,
alla solenne celebrazione nella Basilica di San Pietro, nella quale ho annunciato
l’intenzione di recarmi prossimamente in Messico e a Cuba. Desidero, infine, salutare
il Sud Sudan che, nel luglio scorso, si è costituito quale Stato sovrano. Mi rallegro
che questo passo sia stato compiuto pacificamente. Purtroppo, tensioni e scontri si
sono succeduti in questi ultimi mesi ed auspico che tutti uniscano i loro sforzi affinché,
per le popolazioni del Sudan e del Sud Sudan, si apra infine un periodo di pace, di
libertà e di sviluppo. Signore e Signori Ambasciatori! L’incontro
odierno avviene tradizionalmente alla fine delle festività natalizie, in cui la Chiesa
celebra la venuta del Salvatore. Egli viene nel buio della notte, eppure la sua presenza
è immediatamente fonte di luce e di gioia (cfr Lc 2,9-10). Davvero il mondo è buio,
laddove non è rischiarato dalla luce divina! Davvero il mondo è oscuro, laddove l’uomo
non riconosce più il proprio legame con il Creatore e, così, mette a rischio anche
i suoi rapporti con le altre creature e con lo stesso creato. Il momento attuale è
segnato purtroppo da un profondo malessere e le diverse crisi: economiche, politiche
e sociali, ne sono una drammatica espressione. A tale proposito, non posso
non menzionare, anzitutto, gli sviluppi gravi e preoccupanti della crisi economica
e finanziaria mondiale. Questa non ha colpito soltanto le famiglie e le imprese dei
Paesi economicamente più avanzati, dove ha avuto origine, creando una situazione in
cui molti, soprattutto tra i giovani, si sono sentiti disorientati e frustrati nelle
loro aspirazioni ad un avvenire sereno, ma ha inciso profondamente anche sulla vita
dei Paesi in via di sviluppo. Non dobbiamo scoraggiarci ma riprogettare risolutamente
il nostro cammino, con nuove forme di impegno. La crisi può e deve essere uno sprone
a riflettere sull’esistenza umana e sull’importanza della sua dimensione etica, prima
ancora che sui meccanismi che governano la vita economica: non soltanto per cercare
di arginare le perdite individuali o delle economie nazionali, ma per darci nuove
regole che assicurino a tutti la possibilità di vivere dignitosamente e di sviluppare
le proprie capacità a beneficio dell’intera comunità. Desidero poi ricordare
che gli effetti dell’attuale momento di incertezza colpiscono particolarmente i giovani.
Dal loro malessere sono nati i fermenti che, nei mesi scorsi, hanno investito, talvolta
duramente, diverse Regioni. Mi riferisco anzitutto al Nord Africa e al Medio Oriente,
dove i giovani, che soffrono tra l’altro per la povertà e la disoccupazione e temono
l’assenza di prospettive certe, hanno lanciato quello che è diventato un vasto movimento
di rivendicazione di riforme e di partecipazione più attiva alla vita politica e sociale.
E’ difficile attualmente tracciare un bilancio definitivo dei recenti avvenimenti
e comprenderne appieno le conseguenze per gli equilibri della Regione. L’ottimismo
iniziale ha tuttavia ceduto il passo al riconoscimento delle difficoltà di questo
momento di transizione e di cambiamento, e mi sembra evidente che la via adeguata
per continuare il cammino intrapreso passa attraverso il riconoscimento della dignità
inalienabile di ogni persona umana e dei suoi diritti fondamentali.Il
rispetto della persona dev’essere al centro delle istituzioni e delle leggi, deve
condurre alla fine di ogni violenza e prevenire il rischio che la doverosa attenzione
alle richieste dei cittadini e la necessaria solidarietà sociale si trasformino in
semplici strumenti per conservare o conquistare il potere. Invito la Comunità internazionale
a dialogare con gli attori dei processi in atto, nel rispetto dei popoli e nella consapevolezza
che la costruzione di società stabili e riconciliate, aliene da ogni ingiusta discriminazione,
in particolare di ordine religioso, costituisce un orizzonte più vasto e più lontano
di quello delle scadenze elettorali. Sento una grande preoccupazione per le popolazioni
dei Paesi in cui si susseguono tensioni e violenze, in particolare la Siria, dove
auspico una rapida fine degli spargimenti di sangue e l’inizio di un dialogo fruttuoso
tra gli attori politici, favorito dalla presenza di osservatori indipendenti. In Terra
Santa, dove le tensioni tra Palestinesi e Israeliani hanno ripercussioni sugli equilibri
di tutto il Medio Oriente, bisogna che i responsabili di questi due popoli adottino
decisioni coraggiose e lungimiranti in favore della pace. Ho appreso con piacere che,
in seguito ad un’iniziativa del Regno di Giordania, il dialogo è ripreso; auspico
che esso prosegua affinché si giunga ad una pace duratura, che garantisca il diritto
di quei due popoli a vivere in sicurezza in Stati sovrani e all’interno di frontiere
sicure e internazionalmente riconosciute. La Comunità internazionale, da parte sua,
deve stimolare la propria creatività e le iniziative di promozione di questo processo
di pace, nel rispetto dei diritti di ogni parte. Seguo anche con grande attenzione
gli sviluppi in Iraq, deplorando gli attentati che hanno causato ancora recentemente
la perdita di numerose vite umane, e incoraggio le sue autorità a proseguire
con fermezza sulla via di una piena riconciliazione nazionale. Il Beato
Giovanni Paolo II ricordava che «la via della pace è la via dei giovani», poiché essi
sono «la giovinezza delle nazioni e delle società, la giovinezza di ogni famiglia
e dell’intera umanità». I giovani, dunque, ci spronano a considerare seriamente le
loro domande di verità, di giustizia e di pace. Pertanto è a loro che ho dedicato
l’annuale Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace, intitolato
Educare i giovani alla giustizia e alla pace. L’educazione è un tema cruciale per
ogni generazione, poiché da essa dipende tanto il sano sviluppo di ogni persona, quanto
il futuro di tutta la società. Essa, perciò, costituisce un compito di primaria importanza
in un tempo difficile e delicato. Oltre ad un obiettivo chiaro, quale è quello di
condurre i giovani ad una conoscenza piena della realtà e quindi della verità, l’educazione
ha bisogno di luoghi. Tra questi figura anzitutto la famiglia, fondata sul matrimonio
di un uomo con una donna. Questa non è una semplice convenzione sociale, bensì la
cellula fondamentale di ogni società. Pertanto, le politiche lesive della famiglia
minacciano la dignità umana e il futuro stesso dell’umanità. Il contesto familiare
è fondamentale nel percorso educativo e per lo sviluppo stesso degli individui e degli
Stati; di conseguenza occorrono politiche che lo valorizzino e aiutino così la coesione
sociale e il dialogo. È nella famiglia che ci si apre al mondo e alla vita e, come
ho avuto modo di ricordare durante il mio viaggio in Croazia, «l’apertura alla vita
è segno di apertura al futuro». In questo contesto dell’apertura alla vita, accolgo
con soddisfazione la recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea,
che vieta di brevettare i processi relativi alle cellule staminali embrionali umane,
come pure la Risoluzione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, che condanna
la selezione prenatale in funzione del sesso. Più in generale, guardando
soprattutto al mondo occidentale, sono convinto che si oppongano all’educazione
dei giovani e di conseguenza al futuro dell’umanità le misure legislative che non
solo permettono, ma talvolta addirittura favoriscono l’aborto, per motivi di convenienza
o per ragioni mediche discutibili. Continuando la nostra riflessione, un
ruolo altrettanto essenziale per lo sviluppo della persona è svolto dalle istituzioni
educative: esse sono le prime istanze a collaborare con la famiglia e faticano a compiere
il compito loro proprio se viene a mancare un’armonia di intenti con la realtà familiare.
Occorre attuare politiche formative affinché l’educazione scolastica sia accessibile
a tutti e che, oltre a promuovere lo sviluppo cognitivo della persona, curi la crescita
armonica della personalità, compresa la sua apertura al Trascendente. La Chiesa Cattolica
è sempre stata particolarmente attiva nel campo delle istituzioni scolastiche ed accademiche,
svolgendo un’opera apprezzata accanto a quella delle istituzioni statali. Auspico,
quindi, che tale contributo sia riconosciuto e valorizzato anche dalle legislazioni
nazionali. In tale prospettiva, ben si comprende come un’efficace opera
educativa postuli pure il rispetto della libertà religiosa. Questa è caratterizzata
da una dimensione individuale, come pure da una dimensione collettiva e da una dimensione
istituzionale. Si tratta del primo dei diritti umani, perché essa esprime la realtà
più fondamentale della persona. Troppo spesso, per diversi motivi, tale diritto è
ancora limitato o schernito. Non posso evocare questo tema senza anzitutto salutare
la memoria del ministro pachistano Shahbaz Bhatti, la cui infaticabile lotta per i
diritti delle minoranze si è conclusa con una morte tragica. Non si tratta, purtroppo,
di un caso isolato. In non pochi Paesi i cristiani sono privati dei diritti fondamentali
e messi ai margini della vita pubblica; in altri subiscono attacchi violenti contro
le loro chiese e le loro abitazioni. Talvolta, sono costretti ad abbandonare Paesi
che essi hanno contribuito a edificare, a causa delle continue tensioni e di politiche
che non di rado li relegano a spettatori secondari della vita nazionale. In altre
parti del mondo, si riscontrano politiche volte ad emarginare il ruolo della religione
nella vita sociale, come se essa fosse causa di intolleranza, piuttosto che contributo
apprezzabile nell’educazione al rispetto della dignità umana, alla giustizia e alla
pace. Il terrorismo motivato religiosamente ha mietuto anche l’anno scorso numerose
vittime, soprattutto in Asia e in Africa, ed è per questo, come ho ricordato ad Assisi,
che i leaders religiosi debbono ripetere con forza e fermezza che «questa non è la
vera natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua
distruzione». La religione non può essere usata come pretesto per accantonare le regole
della giustizia e del diritto a vantaggio del “bene” che essa persegue. In questa
prospettiva, sono fiero di ricordare, come ho fatto nel mio Paese natale, che per
i Padri costituenti della Germania la visione cristiana dell’uomo è stata la vera
forza ispiratrice, come, del resto, lo è stata per i Padri fondatori dell’Europa unita.
Vorrei inoltre menzionare segnali incoraggianti nel campo della libertà religiosa.
Mi riferisco alla modifica legislativa grazie alla quale la personalità giuridica
pubblica delle minoranze religiose è stata riconosciuta in Georgia; penso anche alla
sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in favore della presenza del Crocifisso
nelle aule scolastiche italiane. E proprio all’Italia desidero rivolgere un particolare
pensiero, al termine del 150° anniversario della sua unificazione politica. Le relazioni
tra la Santa Sede e lo Stato italiano hanno attraversato momenti difficili dopo l’unificazione.
Nel tempo, però, hanno prevalso la concordia e la reciproca volontà di cooperare,
ciascuno nel proprio ambito, per favorire il bene comune. Auspico che l’Italia continui
a promuovere un rapporto equilibrato fra la Chiesa e lo Stato, costituendo così un
esempio, al quale le altre Nazioni possano riferirsi con rispetto e interesse. Nel
continente africano, che ho nuovamente visitato recandomi recentemente in Benin, è
essenziale che la collaborazione fra le comunità cristiane e i Governi aiuti a percorrere
un cammino di giustizia, di pace e di riconciliazione, in cui i membri di tutte le
etnie e di tutte le religioni siano rispettati. E’ doloroso constatare che tale meta,
in vari Paesi di quel continente, è ancora lontana. Penso in particolare alla recrudescenza
delle violenze che interessa la Nigeria, come hanno ricordato gli attentati commessi
contro varie chiese nel tempo di Natale, agli strascichi della guerra civile in Costa
d’Avorio, alla persistente instabilità nella Regione dei Grandi Laghi e all’urgenza
umanitaria nei Paesi del Corno d’Africa. Chiedo, ancora una volta, alla Comunità internazionale
di aiutare con sollecitudine a trovare una soluzione alla crisi che dura da anni in
Somalia. Infine, mi preme sottolineare che una educazione rettamente intesa
non può che favorire il rispetto del creato. Non si possono dimenticare le gravi calamità
naturali che, nel 2011, hanno colpito varie zone del Sud-Est asiatico, e i disastri
ambientali come quello della centrale nucleare di Fukushima in Giappone. La salvaguardia
dell’ambiente, la sinergia tra la lotta contro la povertà e quella contro i cambiamenti
climatici costituiscono ambiti rilevanti per la promozione dello sviluppo umano integrale.
Pertanto auspico che, in seguito alla XVII sessione della Conferenza degli Stati Parte
alla Convenzione ONU sui cambiamenti climatici, da poco conclusasi a Durban, la Comunità
internazionale si prepari alla Conferenza dell’ONU sullo sviluppo sostenibile (“Rio+20”)
quale autentica “famiglia delle Nazioni” e, perciò, con grande senso di solidarietà
e di responsabilità verso le generazioni presenti e per quelle future. Eccellenze,
Signore e Signori!
La nascita del Principe della pace ci insegna che
la vita non finisce nel nulla, che il suo destino non è la corruzione, bensì l’immortalità.
Cristo è venuto perché gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (cfr Gv
10,10). «Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche
il presente». Animata dalla certezza della fede, la Santa Sede continua a dare il
proprio contributo alla Comunità internazionale, secondo quel duplice intendimento
che il Concilio Vaticano II – di cui quest’anno ricorre il 50° anniversario – ha chiaramente
definito: proclamare la grandezza somma della vocazione dell’uomo e la presenza in
lui di un germe divino, nonché offrire all’umanità una cooperazione sincera, che instauri
quella fraternità universale che corrisponde a tale vocazione. In questo spirito,
rinnovo a tutti voi, ai membri delle vostre famiglie e ai vostri collaboratori i miei
più cordiali auguri per il nuovo anno.