Siria: i funerali delle 26 persone uccise nell'attentato di ieri a Damasco
Oggi, in Siria, si celebrano i funerali ufficiali delle 26 persone uccise nell’attentato
suicida avvenuto ieri nel pieno centro di Damasco. Per il governo, che ha annunciato
il pugno di ferro, l’azione è opera di terroristi. Unanime la condanna della comunità
internazionale. L’Iran e le milizie libanesi di Hezbollah puntano il dito contro quelli
che definiscono “i nemici della Siria” e in particolare contro gli Stati Uniti. Solidarietà
a Damasco anche da parte della Russia, che ha inviato nell’area due navi da guerra.
Gli attivisti, invece, lamentano seimila morti dall’inizio della repressione e chiedono
l’uscita di scena del presidente Assad. In merito alla situazione in Siria, Eugenio
Bonanata ha raccolto il commento di Paolo Branca, docente di Lingue e letteratura
araba all'Università Cattolica di Milano:
R. – Penso
che la situazione della Siria sia emblematica per quanto riguarda i paradossi della
politica internazionale. Quello siriano è uno dei regimi più feroci e più invisi all’Occidente,
eppure questa transizione fa molta più fatica rispetto a quella avvenuta in Tunisia
ed Egitto, che erano visti come Paesi moderati e a noi più prossimi. Ho paura che
questo bagno di sangue che sta sconvolgendo il Paese non abbia sbocchi, perché non
ci sono in ballo interessi più generali possano spingere in tale direzione e continuano
quindi ad imporsi le vecchie logiche.
D. – Cosa possiamo dire della
missione degli osservatori della Lega araba, che ormai ha ammesso gli errori fatti
sul territorio e, per questi stessi errori, sarebbe anche pronta a chiedere il sostegno
dell’Onu?
R. – Credo che i rappresentanti dei Paesi arabi siano ancora
funzionari di regimi o di ex regimi. La cosa che più li impaurisce, probabilmente,
è l’ulteriore contagio, l’effetto-domino che può diffondersi ancora di più nell’area,
e quindi si trovano lì per fare, per così dire, il meno possibile. Questo appellarsi
all’Onu è alquanto paradossale, perché hanno sempre contestato il fatto che l’Onu
fosse "super partes" in questioni come quella palestinese o simili. Siamo veramente
in una situazione di stallo.
D. – La Lega araba, attraverso Hamas, ha
comunque chiesto alla Siria di porre fine alle violenze…
R. – Questo
è inevitabile: in fondo, si tratta di cittadini disarmati che vengono uccisi dal loro
stesso governo. Questa, alla lunga, è una cosa che ripugna e che non può stare in
piedi. Penso che il regime di Damasco avrebbe dovuto muoversi da tempo per guidare
la transizione piuttosto che subirla. Evidentemente, però, stanno prevalendo le frange
oltranziste, anche interne.
D. – In questo quadro si estende il fronte
dei dissidenti: in queste ore, anche un alto generale ha voltato le spalle a Damasco.
Cosa possono fare?
R. – Sono certamente delle figure simboliche, che
però danno un segnale molto preoccupante, che siamo cioè alle soglie – o addirittura
già all’interno – di una guerra civile. Questo, forse, è uno degli elementi che preme
maggiormente la diplomazia internazionale per intervenire con decisione, perché ci
sono fattori etnico-religiosi che potrebbero trasformare la Siria in un altro Iraq:
a ridosso di Israele, in una zona così delicata, ovviamente questa possibilità spaventa
tutti.
D. – Finché ci sarà l’opposizione della Cina e della Russia,
in sede del Consiglio di sicurezza dell’Onu, probabilmente non ci sarà un avanzamento
o una novità significativa nella crisi siriana…
R. – Potrebbe essere
anche un buon alibi, perché non credo che i Paesi occidentali possano fare, in Siria,
qualcosa di simile a ciò che è stato fatto in Libia, anche perché mancherebbero le
condizioni per farlo. Tutto sommato, quindi, può anche far comodo che qualcuno dica
di "no", per affermare che si hanno le mani legate. (vv)