2012-01-07 14:17:49

Partito il pellegrinaggio dei vescovi europei e americani in Terra Santa


Condividere la vita pastorale della Chiesa in Terrasanta di fronte agli importanti cambiamenti politici e socio-economici. E’ uno degli obiettivi dell’incontro annuale del Coordinamento per la Terra Santa che prende ufficialmente il via domani ma che già oggi a Gerusalemme prevede una serie di riunioni. Presenti membri e delegati di numerose Conferenze episcopali del mondo dagli Stati Uniti all’Inghilterra e Galles. Alina Tufani, collega della nostra sezione spagnola, ha intervistato mons. Joan Enric Vives i Sicilia, vescovo di Urgell e delegato della Conferenza episcopale spagnola:RealAudioMP3

R. - Siamo in riunione e in ascolto. C’è una riflessione molto importante che faremo con il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, con il padre Custode di Terra Santa, padre Pizzaballa, con il nunzio del Santo Padre in Terra Santa, mons. Franco, e altri. Lo scopo è di condividere e vivere un’espressione attenta e feconda della comunione. La Chiesa è comunione e dobbiamo viverla e farla vivere ai nostri fedeli, alle nostre diocesi, ai nostri Paesi con i cristiani che sono in Terra Santa. Molti di loro soffrono per le condizioni di vita e per tanti altri problemi legati alla mancanza di pace, alla violenza, alla mancanza di lavoro. Vediamo che, in questo momento, anche Paesi che confinano con la Terra Santa come l’Iraq, la Siria, il Libano e l’Egitto hanno grandi problemi. I palestinesi, i cristiani palestinesi soprattutto, che vivono in questi Paesi soffrono perché la maggioranza è musulmana e non sempre c’è rispetto per la libertà religiosa.

D. - Sappiamo che tutto il 2011 è stato particolare per la richiesta dei palestinesi di essere considerati uno Stato. Qualche piccolo passo è stato fatto: pensa che di fronte a questi cambiamenti i cristiani in Terra Santa possono avere una prospettiva migliore in una situazione più pacifica?

R. – Aspettiamo, questa è però la nostra speranza. Da sempre, anche la posizione di molte potenze mondiali rispetto alla questione è che Israele abbia tutto il diritto di essere uno Stato – è un grande Stato – e che tuttavia, dall’altra parte, anche i palestinesi abbiano il diritto di essere uno Stato. E i due Stati, Israele e Palestina, dovrebbero vivere in pace. Pensiamo pure che la città di Gerusalemme debba avere uno statuto regolato a livello internazionale e difeso. E’ una città santa per tutte e tre le grandi religioni – ebrea, cristiana e musulmana – perciò dobbiamo conoscere meglio quelle zone, ascoltando i nostri fratelli che là vivono ogni giorno. “Loro sono le pietre vive”: dice il Santo Padre. Andiamo dunque in pellegrinaggio per dire a tutti loro che noi siamo fratelli, che siamo uniti nello Spirito Santo, perché siamo una sola Chiesa. Questo è il messaggio che noi vogliamo portare, ascoltarli e dire loro che non sono soli: siamo vicini, siamo fratelli, siamo in una stessa comunione. (bi)

Saranno molti, in questo pellegrinaggio dei vescovi, i momenti di confronto e di dialogo. Al centro delle discussioni, anche l’impatto che la "primavera araba" ha avuto sul conflitto israelo-palestinese, ma anche le prospettive del dialogo interreligioso alla luce dell’incontro convocato dal Papa ad Assisi, lo scorso ottobre. La nostra inviata al seguito dei presuli, Philippa Hitchen, ha chiesto a mons. Patrick Kelly, arcivescovo di Liverpool e vicepresidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, quali sono i momenti più importanti di questo incontro :

R. – I suppose the first highlight….
Suppongo che il primo momento saliente, per me personalmente, come sempre sarà la visita a Nablus, alla parrocchia di San Giuseppe, al pozzo in Samaria. Si sa che quello è un grande luogo di evangelizzazione e penso che il Santo Padre abbia richiamato ad una nuova evangelizzazione. Quel dialogo con la donna al pozzo ci insegna così tanto: è un dialogo che Gesù vuole avere con tutti noi, che porta a quella meravigliosa professione di fede. Noi sappiamo che Lui è il Salvatore del mondo, quindi Nablus è molto speciale.

D. – Questo viaggio significa continuare un dialogo con la comunità cristiana locale…

R. – It is but against I think…
Lo è, ma di contro ci sono due differenze molto significative. C’è quella che, descritta in vari modi, chiamiamo “primavera araba” e che è una realtà che ha molti aspetti differenti, alcuni positivi e alcuni negativi, per quanto riguarda le comunità cristiane. Quindi, questo farà parte delle nostre conversazioni quest’anno. Secondo – e probabilmente collegato a questo – ho letto delle difficoltà di molti cristiani in vari Paesi e questo ha influito sul tipo di dialogo che intratteniamo con ebrei e musulmani. C’è un nuovo imperativo nel nostro dialogo quest’anno. (ap)







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