In Italia, polemica sulle celle di sicurezza. Il ministro Severino difende il decreto
"svuota carceri"
E’ polemica tra il ministro della giustizia Paola Severino e la polizia. Ad innescarla
sono state le parole del vice capo, il prefetto Francesco Cirillo, che ha espresso
forti dubbi sul decreto svuota carceri, soprattutto sul punto che impone alle forze
dell’ordine di custodire in cella di sicurezza gli arrestati in flagranza in attesa
della convalida. Per il prefetto i detenuti stanno meglio in carcere. Immediata la
risposta del ministro Severino: “Sono norme totalmente concordate con il Ministero
dell’interno e con i vertici delle forze di polizia”. Francesca Sabatinelli
ha intervistato Patrizio Gonnella, presidente di "Antigone", associazione per
i diritti e le garanzie nel sistema penale:
R. – Con
questa misura, sicuramente, l’intenzione del ministro della Giustizia Paola Severino
è quella di dare un messaggio alle forze di polizia: non procedere a fermi inutili,
che non hanno alcun riflesso sulla sicurezza collettiva. Il messaggio rivolto alle
forze di Polizia dice quindi: “Guardate che da ora in poi ve li dovrete sorbire voi,
nelle vostre camere di sicurezza, usando il vostro personale”. Questo messaggio è
finalmente in controtendenza rispetto al passato e questa è, per me, la valutazione
positiva. A preoccuparmi è invece il fatto che queste camere di sicurezza non sono,
prima di tutto, attrezzate ai fini della garanzia dei diritti minimi, come ad esempio
vitto ed alloggio, ossia una finestra e due pasti caldi. Inoltre non sono adatte a
garantire la sicurezza nella prima, e più delicata, fase come quella precautelare,
a evitare che avvengano violenze. Sarebbe quindi opportuno che la sorveglianza di
queste camere di sicurezza fosse affidata ad organismi di polizia diversi da quelli
che hanno proceduto al fermo e all’arresto. La seconda cautela dovrebbe prevedere
l’ispezione di queste camere di sicurezza. Basti pensare che oggi il controllo parlamentare
può avvenire nelle carceri ma non nei luoghi di custodia di polizia, carabinieri e
guardia di finanza. In Italia non esiste un’autorità indipendente di controllo delle
condizioni di detenzione. Autorità del genere esistono invece in molti Paesi del mondo.
D.
– La sua associazione, “Antigone”, cosa pensa, in concreto, del decreto del ministro
Severino?
R. – Queste misure sono “misure-tampone” e non risolutive.
E’ un “laccio emostatico”, come si dice in questi casi. Una misura, cioè, necessaria
ma non sufficiente.
D. – E’ noto che il sovraffollamento è uno dei mali
peggiori del sistema carcerario italiano, si ritiene che spesso sia stato anche causa
del suicidio di alcuni detenuti. “Antigone”, insieme ad altre associazioni, ha raccolto
in un rapporto i dati dei decessi avvenuti in prigione nel 2011. Avete usato un titolo
morto forte “Così si muore in galera”…voi quindi cosa ne pensate del piano straordinario
di edilizia penitenziaria?
R. – Non abbiamo mai avallato, dal punto
di vista concettuale, l’idea che dobbiamo andare a rincorrere i numeri della detenzione
costruendo nuove carceri. Dobbiamo invece ragionare su ciò che è giusto e non è giusto
punire, e in questo momento in Italia c’è un clima più sereno per farlo. Penso al
ministro per l’Integrazione, Andrea Riccardi, che ha la delega sia all’immigrazione
sia alle droghe. In passato abbiamo avuto molte difficoltà nel creare un dialogo,
un certo tipo di comunicazione, su questi punti. Sono proprio immigrazione e droga
i temi che producono eccessi di carcerazione senza generare alcun benefico effetto
sulla sicurezza pubblica. Abbiamo messo in galera tanti immigrati solo perché non
avevano il permesso di soggiorno – circa 16 mila solo nel 2010 – e tanti giovani ragazzi
perché facevano uso di droghe. Prima di costruire un nuovo carcere compriamo i materassi:
c’è gente, a Regina Coeli – quindi a 300 metri dal Parlamento – che dorme per terra.
Sono queste le condizioni di vita nelle carceri italiane. Ed in queste condizioni,
nell’anno 2011, abbiamo avuto 65 suicidi e 186 morti, alcune di queste molto tragiche,
che rappresentano proprio il segno di una certa disattenzione. Certamente tra la questione
del sovraffollamento e delle morti in carcere c’è un nesso, però non può essere una
giustificazione. Così come non è accettabile che succeda ciò che è accaduto a Trani
il 31 dicembre scorso quando un detenuto è morto dopo che la madre, disperata, per
due mesi, assieme al suo avvocato, aveva chiesto di farlo uscire perché malato. Si
era rivolta a noi perché non sapeva a chi rivolgersi. Aveva anche avvertito le autorità
sanitarie penitenziarie che il figlio stava male e che, ogni giorno che passava, stava
sempre peggio. Nessuno l’ha ascoltata, fino a quando l’uomo è morto da solo, in galera,
nel carcere di Trani. Questo sarà pure dovuto al sovraffollamento, però è anche tanto
mal costume. (vv)