Il cardinale Ortega: il Papa “pellegrino della carità” a Cuba
Già fervono i preparativi a Cuba e in Messico per il viaggio che il Papa compirà in
questi due Paesi del continente americano dal 23 al 28 marzo prossimo. Gli episcopati
locali hanno già pubblicato il programma della visita, annunciata dallo stesso Benedetto
XVI. Ma come è stata accolta la notizia a Cuba? Alina Tufani lo ha chiesto
all’arcivescovo dell’Avana, il cardinale Jaime Ortega:
R. – Fue
una grande alegria... E’ stata una grande gioia. E’ un evento tanto atteso:
per noi è sorprendente che il Papa abbia scelto il nostro Paese assieme al Messico
per venire in America Latina. Il Messico è un grande Paese, emblematico per tutta
l’America Latina, e Cuba si trova nel tragitto di questo viaggio. Il Papa era stato
invitato già da tempo, fin dalla visita del cardinale Bertone a Cuba, in un momento
che coincideva con l’insediamento del nuovo presidente, Raul Castro, che in quell’occasione
invitò calorosamente il Papa, in modo insistente, perché venisse a Cuba. Eravamo pieni
di speranza e il Papa stesso, quando io gli parlavo di questo invito, mi diceva di
portare nel cuore questo desiderio di essere a Cuba.
D. – Senza dubbio,
la visita di Giovanni Paolo II ha segnato la storia di Cuba. Quali aspettative ha
la Chiesa per questa nuova visita di un Papa?
R. – El Papa ha tenido
ahora una ocasion... Il Papa ha adesso un’occasione privilegiata per venire
a Cuba: la celebrazione dei 400 anni dal ritrovamento dell’immagine della Vergine
della Carità del Cobre. Questa devozione è davvero nazionale e unisce in maniera speciale
i cubani: la gente qui sa che la carità ci unisce. Il Papa vuole prima di tutto celebrare
il giubileo della Vergine della Carità e verrà a Cuba proprio come “pellegrino della
carità”. Quali sono le nostre aspettative? Abbiamo già avuto l’esperienza della visita
di Giovanni Paolo II, che ha segnato la storia della nostra nazione cubana, che ha
creato un prima e un dopo, anche se questo non è quantificabile dal punto di vista
matematico, così come le cose dello spirito non sono quantificabili. I cambiamenti
che produce un’azione rivolta all’intimo del cuore umano e all’anima dei popoli non
sono verificabili come per un evento qualsiasi, ma lasciano un’impronta che fa sì
che nasca una nuova fase. Ora, c’è un ricordo enorme della visita di Giovanni Paolo
II e c’è una grande attesa per l’arrivo di Benedetto XVI. E’ l’impronta che resta
nello spirito di questa gente. E questo è un momento molto opportuno perché il Papa
raccolga il frutto di tutto ciò.
D. – La visita di Giovanni Paolo II
ha cambiato molte cose per la Chiesa, che ora ha più accesso nei mezzi di comunicazione
e può accogliere missionari dall’estero…
R. – Si, como es logico...... Sì,
abbiamo più accesso ai mezzi di comunicazione. Io già da anni pronuncio il Messaggio
di Natale sul canale più seguito della televisione cubana e questi interventi hanno
un impatto incredibile. Inoltre, non ci sono difficoltà per l’entrata dei missionari
a Cuba dopo la visita di Giovanni Paolo II. Ci sono molte cose che si sono aperte,
passo passo, per esempio il fatto di poter ricevere libri religiosi di tutti i tipi,
filosofici, teologici, di divulgazione religiosa. Io credo che l’aspetto più difficile
sia la crisi delle vocazioni. Grazie a Dio abbiamo costruito un seminario all’Avana.
Qui, ci sono 60 seminaristi da tutto il Paese e questo vuol dire che c’è un bel gruppo
di cubani che si preparano per il sacerdozio. Ci sono meno vocazioni per quanto riguarda
la vita consacrata femminile, ce ne sono di più per il sacerdozio. Ma non possiamo
confidare solo nelle nostre possibilità, abbiamo bisogno di un aiuto dall’estero.
Dobbiamo comunque animare di più i laici. Quello che manca ancora è infatti la partecipazione
dei laici. Qui c’è il cammino della Chiesa per il futuro. (ap)